IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’Europa di fronte al tramonto della globalizzazione neoliberale

Nel suo ultimo libro Alfredo D'attorre si interroga se, tramontata l’illusione di un mondo unificato pacificamente dall’economia di mercato, l’Unione europea sarà in grado di trovare un nuovo necessario equilibrio tra sovranità politica, diritto e integrazione sovranazionale.

Nella stagione del ritorno degli Stati e del tramonto dell’illusione di un mondo definitivamente post-sovrano l’Unione europea e chiamata a ridefinire i presupposti di fondo sulla base dei quali il processo di integrazione è stato sviluppato, specie a partire dagli ultimi due decenni del secolo scorso.

La fine della centralità europea e l’integrazione spoliticizzata

L’auto-rappresentazione del progetto europeo come «comunità di diritto» ha una matrice limpidamente ordoliberale ed è più risalente anche rispetto alla torsione impressa al cammino dell’integrazione già dall’ Atto unico di Lussemburgo del 1986. Essa è stata pienamente funzionale alla strategia di spoliticizzazione della governance economica dell’Unione, che si afferma poi con il Trattato di Maastricht del 1992. In questo assetto il funzionalismo economico diventa l’aspetto prevalente e quasi esclusivo, sulla base della convinzione che l’esperimento post-sovrano dell’integrazione giuridica, economica e monetaria europea renda l’originale forma istituzionale dell’Unione più adeguata ad affrontare il mondo post-politico disegnato dalla globalizzazione neo-liberale.

La crisi finanziaria del 2008 e la pandemia del 2020 hanno segnato il brusco risveglio da queste illusioni, aprendo la strada a un ripensamento del progetto europeo destinato a non essere né breve né semplice.

Una delle radici originarie della spoliticizzazione del progetto europeo risale, in realtà, al ridisegno degli equilibri mondiali prodotto dai due conflitti mondiali del Novecento e alla natura profondamente mutata della centralità europea nel secondo dopoguerra. A differenza di quanto avvenuto nei secoli precedenti e fino alla Prima guerra mondiale, l’Europa non costituisce più l’area dominante del pianeta, ma solo il punto di snodo e di contatto del nuovo bipolarismo mondiale, imperniato su due potenze in tutto o in parte extra-europee, In ragione di ciò, «sebbene detronizzata dal suo tradizionale ruolo di centro di irradiazione dei conflitti e delle istituzioni, l’Europa mantenne anche nella seconda metà del Novecento un residuo considerevole di centralità: una centralità capovolta rispetto al passato, di oggetto invece che di soggetto delle vicende dominanti, ma sufficiente a non farne ancora un luogo come tutti gli altri».

Il progetto di integrazione europea nasce indubbiamente entro queste coordinate storiche e nel quadro di un rigoroso incardinamento entro il campo atlantico». Nel mondo della guerra fredda e dei blocchi contrapposti, i singoli Stati dell’Europa occidentale potevano tentare di guadagnare limitati margini di autonomia diplomatica, ma la Comunità europea non avrebbe potuto avere alcun ruolo geopolitico distinto dagli Stati Uniti, come era evidente dal fatto che essa qualificava già dal nome la sua funzione come economica.

Nella fase post-1989, l’irreggimentazione tecnocratica del progetto europeo non è più legata a ragioni primariamente geopolitiche, ma all’impatto della globalizzazione neo-liberale e al tentativo di mettere il mercato unico e la moneta comune al riparo della discrezionalità politica dei governi nazionali.

La crisi dell’ordine di Maastricht. Alla ricerca dell’autonomia

È stata la cesura della pandemia a determinare la sostanziale sospensione di tutte le regole fondanti della governance economica dell’eurozona fino a quel momento (Patto di stabilità, divieto degli aiuti di Stato alle imprese, esclusione di ogni trasferimento di risorse fra i Paesi membri tramite una capacità fiscale comune, impedimento alla BCE di monetizzare parte dei debiti pubblici). Se a ciò si aggiungono le sfide del tutto inedite poste dal nuovo contesto geopolitico, si comprende perché l’Europa sia posta di fronte alla necessità di un profondo ripensamento del proprio progetto.

Per quanto forti possano essere le spinte interne ad alcuni Paesi nord-europei per ristabilire l’assetto precedente, per l’Unione il ritorno allo status quo ante rappresenterebbe una vera e propria minaccia esistenziale, al punto da apparire piuttosto irrealistico. Ciò appare piuttosto evidente sia dal punto di vista dele regole di bilancio, sia riguardo l’esclusione di qualsiasi forma di politica industriale e di ruolo attivo della mano pubblica nella programmazione dello sviluppo, sia in relazione al modello generale di governance.

Analogamente, anche se non appare alle porte una revisione complessiva dell’impianto istituzionale dell’Unione europea e dei Trattati, è ormai largamente riconosciuta l’esigenza di procedure decisionali più snelle e flessibili, anche riguardo la possibilità di attivare forme di integrazione più stretta fra i Paesi che condividano obiettivi essenziali su alcune materie.

Questi due aspetti si intrecciano con quella che appare – in particolare dopo la crisi delle catene di approvvigionamento globale prodotta prima dalla pandemia e poi acuita dalla guerra in Ucraina – come l’esigenza più stringente dell’Unione europea, o almeno del nucleo dei suoi Paesi fondatori. Si tratta della costruzione della cosiddetta «autonomia strategica, europea, ossia della capacità del Vecchio Continente di emanciparsi dalla dipendenza tecnologica, energetica e militare dalle altre potenze globali.

Allo stesso tempo, il rafforzamento delle politiche di «capitalismo di Stato» da parte non solo della Cina, ma anche degli Stati Uniti, accentua l’insostenibilità del quadro regolatorio di impronta schiettamente ordoliberale su cui finora il mercato comune dell’Unione europea si era retto. Decisioni come quella degli Stati Uniti di varare una ampia gamma di sussidi alle aziende private più esposte sul fronte della transizione ecologica e digitale non hanno solo l’effetto dichiarato di alzare il livello di competizione con la Cina e di contenere le spinte inflazionistiche legate alle importazioni e all’eccessiva dipendenza dalle catene di valore globale. L’ulteriore conseguenza, indiretta ma altrettanto potente, è quella di mettere a rischio una parte significativa dell’apparato produttivo europeo, che non può contare su un quadro di sostegni pubblici paragonabile, peraltro nemmeno lontanamente ipotizzabile sul piano concettuale entro un impianto ordoliberale, in quanto massimamente lesivo dei principi di concorrenza.

Il pericolo di una de-globalizzazione conflittuale

Emerge qui il punto cruciale per mettere a fuoco la vera e propria sfida esistenziale che l’attuale fase di trasformazione dell’assetto globale rappresenta per il futuro dell’Unione europea. La tesi fondamentale che si intende qui sostenere è che l’Europa si trovi in una situazione del tutto peculiare rispetto ai «capitalismi di Stato» che – da quelli delle due superpotenze mondiali fino a quelli di altri grandi Paesi emergenti – animano la nuova competizione geopolitica. Questa peculiarità consiste in un interesse vitale e specifico a un ridisegno dell’ordine internazionale che eviti il ribaltamento della globalizzazione neo-liberale in un mondo rigidamente segmentato in aree di influenza destinate ad allentare progressivamente i rapporti economici e le forme di cooperazione politica. Su questo aspetto cruciale si manifesta una chiara e crescente divergenza di interessi strategici tra il nucleo europeo, costituito anzitutto dai grandi Paesi fondatori (Germania, Francia, Italia), e gli Stati Uniti.

Nel breve periodo, il tema sul quale questa divergenza si è già manifestata in maniera piuttosto palese è costituito dagli effetti dell’invasione russa dell’Ucraina, con la crisi energetica e l’impatto assolutamente asimmetrico che essa produce sull’economia americana, avvantaggiata dai maggiori volumi e costi delle esportazioni di gas, e quella europea, colpita duramente sia nella competitività del suo sistema produttivo sia nell’equilibrio della sua bilancia dei pagamenti.

In prospettiva, tuttavia, il vero tema dirimente è destinato a diventare quello dei rapporti con la Cina. Sono diverse le ragioni per le quali l’avverarsi della profezia della «trappola di Tucidide», che postula l’inevitabilità di una degenerazione della competizione tra le due superpotenze in un conflitto aperto, si tramuterebbe in una trappola anzitutto per l’Europa, oltre che ovviamente per la costruzione di qualsiasi assetto di sicurezza condiviso a livello mondiale. Se questo diventasse uno scenario privo di alternative, l’Unione non sarebbe più parte autonoma di un campo occidentale plurale, ma si ritroverebbe arruolata, in una funzione del tutto subalterna, in uno schieramento rigidamente anti-cinese, che imporrebbe il rapido superamento di qualsiasi rapporto strutturato di cooperazione politica ed economica.

Il possibile ruolo dell’Europa nella lotta al cambiamento climatico

In un mondo segnato dal risorgente conflitto geopolitico e dall’emergere di nuove forme di controllo e regolazione statuale dell’economia, anche per l’Europa diventa essenziale la scelta politica e discrezionale degli obiettivi fondamentali da perseguire. Ciò richiede la trasformazione da comunità di diritto, fondata sulla spoliticizzazione delle decisioni fondamentali, a comunità politica plurale, in cui il diritto torna a intrecciare un rapporto stretto con le istanze che emergono dalle singole società nazionali e si propone come strumento per la loro composizione flessibile, non per l’imposizione di uno standard uniformante dall’alto. Un’Unione europea riformata in questa direzione può diventare un modello interessante anche per un nuovo equilibrio fra sovranità statuale e diritto sovranazionale.

In quest’ottica, ai fini della trasformazione dell’Unione europea, sia sul piano interno sia per la sua proiezione globale, la dimensione del diritto da recuperare è quindi quella funzionale non alla spoliticizzazione, ma alla mediazione fra volontà politiche plurali, alla composizione dei loro interessi divergenti e alla tutela dei loro interessi comuni.

Il concetto di «autonomia strategica» è interessante, come si è visto, perché segnala l’emergere della consapevolezza che interessi ormai vitali per il benessere e la sicurezza dei cittadini europei non possono essere più affidati solo al funzionamento senza interferenze del mercato, in quanto necessitano di scelte di programmazione economica e di politica industriale che fuoriescono dall’impianto ordoliberale di Maastricht.

Questa consapevolezza è la premessa indispensabile perché l’Europa possa esercitare un ruolo più riconoscibile e assertivo nella ridefinizione dell’ordine internazionale. Ciò riguarda anche i temi su cui la sensibilità europea appare più spiccata rispetto agli altri poli della politica mondiale come il contrasto al cambiamento climatico, la tutela dei diritti umani o l’affermazione dei principi dello Stato di diritto. Anche su queste grandi questioni, nel mondo più frammentato e conflittuale che emerge dal complesso di crisi ed emergenze succedutesi a partire dal 2008, la via dell’universalismo liberale non può evidentemente funzionare. Soltanto una nuova capacità di iniziativa e di mediazione politica sul piano delle relazioni internazionali, capace di servirsi del diritto come strumento di comunicazione fra culture, volontà e interessi diversi, può ottenere risultati per via cooperativa e consensuale.

In fondo, l’Unione europea è il soggetto più scosso dal naufragio della globalizzazione neoliberale, su cui aveva modellato il proprio modello di governance, e più bisognoso di un nuovo equilibrio fra ruolo della sovranità politica, diritto e integrazione sovranazionale. Proprio sulla base di questa necessità esistenziale, l’Europa è chiamata a rendersi parte attiva nel disegnare un nuovo assetto internazionale, che eviti uno scivolamento traumatico dalle illusioni globaliste all’inevitabilità di una divisione del mondo in blocchi contrapposti, destinati a ridurre sempre di più i gradi di cooperazione e integrazione.

A. D’Attorre, Metamorfosi della globalizzazione. Il ruolo del diritto nel nuovo conflitto geopolitico, Bari-Roma, Laterza, 2023.

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