La catastrofe nucleare è il grande rimosso del nostro tempo. Non se ne parla, non se ne deve parlare. Che Putin e altri esponenti politici e militari russi l’abbiano evocata – senza però menzionarla esplicitamente – è sembrato un peccato contro natura; la pericolosa rottura di un tabù, si è detto. Perché quelle parole erano una minaccia, e così sono state giustamente intese. Ma, non sottovalutiamo il significato politico gravissimo di quelle frasi se diciamo che la minaccia è nell’esistenza stessa dell’arma atomica. Come scrisse Günther Anders, “La sua mera esistenza, il mero possesso, la mera possibilità di impiegarla” conferisce all’arma atomica “il carattere di ultimatum”. È “un ricatto fattosi cosa, lo [è] per essenza”; e lo sarebbe anche “se un san Francesco l’avesse custodita nelle sue mani”. Resta il fatto che la più grande infamia – la distruzione della specie umana – è, nel dibattito politico, in-fame, senza una parola che la tramandi. Innominata e innominabile. E invece andrebbe ossessivamente gridata alla coscienza pubblica.
Certo, è entrato in vigore, dopo la sua approvazione nel 2017 da parte dell’ONU, il Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons (TPNW), che dichiara illegali le armi nucleari, ne vieta l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, il trasferimento, la ricezione, la minaccia di utilizzo, lo stazionamento, l’installazione o il dispiegamento. Si tratta di un importante trattato, anche se nessuna delle potenze nucleari intende aderirvi. E persino la Commissione esteri della Camera ha approvato una risoluzione che impegna il Governo ad agire per il disarmo nucleare nel quadro del percorso previsto dal TPNW. Fatto importante e da non sottovalutare, anche perché, almeno su questo punto, segna una salutare rottura (voto contrario di Fratelli d’Italia) dell’unanimismo atlantista imperante. Anche se resta il dubbio che una parte non trascurabile dei deputati favorevoli abbiano avuto buon gioco a prendere questa posizione, visto che è in definitiva al Governo che spetta la decisione vera. E ciò è tutt’altro che scontato, perché la decisione di aderire al TPNW, o anche soltanto entrare nel suo percorso, comporterebbe una radicale revisione della nostra partecipazione alla NATO, con la conseguenza di dover mettere in discussione la presenza di decine di testate nucleari sul nostro territorio. Comunque, resta il fatto che della possibile catastrofe nucleare non se ne parla, nel senso che non c’è una campagna politica capace di coinvolgere l’opinione pubblica (una volta si sarebbe detto: una campagna di massa). La fine della guerra fredda ha messo la sordina al tema. Eppure, mai come in questo momento, con una guerra che ogni giorno potrebbe provocare lo scontro diretto tra Russia e Nato, sarebbe necessario mobilitarsi contro questo pericolo, che è stato sempre incombente, ma che ora è più grande che mai. Molto più, per tante ragioni, di quanto non sia stato durante i quaranta anni della guerra fredda. In quella fase – soprattutto negli anni Cinquanta e Sessanta, e poi tra la fine degli anni Settanta e l’avvento di Gorbaciov – il pericolo di un conflitto catastrofico per l’intera umanità è stato al centro del dibattito politico-culturale e dell’immaginario collettivo, oltre che essere oggetto di campagne di mobilitazione politica.