Il mondo sta cambiando rapidamente in questo nuovo millennio. Ma in Italia non è molto diffusa la percezione della nuova realtà in movimento oltre i confini. Forse anche perché nel nostro paese, più ancora che in altri d’Europa, di questi profondi cambiamenti si sentono soprattutto gli effetti negativi sul piano sociale. Il processo in atto da circa un ventennio si caratterizza per due aspetti essenziali: la diffusione globale del capitalismo informazionale e della società in rete, ben definiti da Castells, e una nuova divisione internazionale del lavoro in seguito a ribaltamento dei rapporti tra quelli che nel ventesimo secolo venivano chiamati paesi sviluppati e paesi sottosviluppati.
La stasi dell’Italia e la trasformazione del mondo
In questa nuova era l’Italia stenta a svolgere un ruolo significativo. Come tutte le fasi storiche di cambiamenti profondi, anche questa è caratterizzata da una continua competizione e da una forte selezione. Questi sono requisiti essenziali per la partecipazione alla nuova sistemazione degli assetti mondiali, che comporta pesanti conseguenze di polarizzazione ed esclusione sociale in un nuovo sistema, segnato da imprevedibili novità (…) Dopo la Seconda Guerra mondiale, l’Italia, nel suo conflittuale insieme, fu capace di partecipare da protagonista alla grande trasformazione definita, poi “l’età dell’oro” dello sviluppo capitalistico mondiale. Oggi appare molto meno attrezzata per questa nuova impresa globale. Purtroppo è una società statica e seduta su rinnovati privilegi e antichi difetti, impreparata ad affrontare un confronto duro, ma fondato sulla capacità di innovare. L’esclusione dei giovani dal lavoro e dal futuro in tutta Italia e specialmente nel Sud, che è fenomeno diffuso anche in altri paesi europei, si accompagna da noi a un blocco totale della mobilità sociale. Il tramonto della politica nell’ultimo trentennio ha favorito in Italia il dominio totalizzante di una sorta di familismo dei clan, che impedisce l’affermazione delle qualità personali in qualsiasi ambito. La selezione in Italia, salvo rare eccezioni, non avviene per confronti di merito, ma per le relazioni personali, familiari, di clan. È questo il cemento che unisce, nell’Italia contemporanea, quello che è rimasto della società e della politica. L’inconsistenza e l’inadeguatezza della classe dirigente esprimono il degrado politico culturale di una gran parte del paese. (…)
La centralità del Mezzogiorno nella storia dell’Italia unita non è stata una invenzione dei meridionalisti, tanto meno dei meridionali, spesso distratti da lamenti e nostalgie infondate. Non per caso il Sud fu al centro della politica nazionale per tutto il quindicennio del dopoguerra, che vide l’Italia emergere dalla disfatta nazionale e ascendere tra i paesi più sviluppati del mondo. Soltanto un’Italia unita da Nord a Sud può aspirare svolgere nel mondo ruolo un adeguato alla sua tradizione culturale e differente della sua inconsistenza politica pre-unitaria. Basta conoscere la Storia d’Italia per esserne convinti. Ma chi conosce e chi fa conoscere oggi in Italia la storia plurimillenaria di questo paese?
Le occasioni possibili per il Mezzogiorno e per l’Italia
L’Italia e in particolare il Mezzogiorno sono stati per millenni un crocevia di popoli che scendevano dall’Europa o venivano dal Mediterraneo. Dopo il lungo predominio delle rotte atlantiche, che segna l’inizio del mondo moderno, l’espansione attuale delle potenze asiatiche ha dato una nuova centralità al bacino del Mediterraneo e anche per questa via può favorire nuovi processi di trasformazione. L’internazionalizzazione dei sistemi economici e l’integrazione crescente dei mercati richiedono sempre più efficienti sistemi di comunicazione. La collocazione geografica del Mezzogiorno al centro del Mediterraneo, che era stata un elemento negativo riguardo all’industrializzazione di fine Ottocento per la distanza dall’Europa, rappresenta oggi un’occasione importante di sviluppo, se si riuscirà a fornire efficienti infrastrutture di trasporto e di servizi adeguate all’incremento dei traffici e alla mobilità delle merci e delle persone. Nell’ultimo quindicennio il contributo statale alla creazione delle opere per le varie modalità di trasporto al Sud è stato quasi nullo. Ne risulta un forte deficit specie riguardo alle connessioni tra le diverse modalità (strade, ferrovie, porti aeroporti) che impedisce nel mezzogiorno lo sviluppo della moderna logistica, intesa come integrazione dei diversi servizi di trasporto. Sarebbe utile concentrare su progetti di sviluppo di questa portata i contributi finanziari europei e nazionali, piuttosto che disperderli a pioggia per interventi di scarso o nullo rilievo. Ma nell’attuale dibattito politico-culturale italiano questi problemi non destano sufficiente interesse. (…)
L’Italia, protagonista nell’avvio della costruzione europea che indicava già nello Statuto l’obiettivo dello sviluppo del Mezzogiorno d’Italia, oggi naviga a vista. In un’Unione Europea composta da 27 stati membri, molti dei quali usciti di recente da condizioni economico-politiche molto difficili, l’Italia appare bloccata e in caduta libera in tutte le classifiche che indicano i livelli di sviluppo e di civiltà. Dispiace ripeterlo, ma la sola classifica che ci vede in testa nel mondo è quella della criminalità organizzata. Nel dopoguerra pareva che ci fosse capitata la più grande sventura, per avere in casa e nella forma più ampia il conflitto bipolare, che bloccava lo sviluppo di un sistema politico “normale” di alternanza al governo. Questo però non ha impedito il progresso e la “grande trasformazione” del paese. Oggi che siamo da tempo tutti sciolti da vincoli ideologici e da condizionanti legami internazionali, siamo riusciti a far crollare in Italia il confronto politico-culturale a livelli infimi, in una sorta di eterno ritorno dell’interesse esclusivo al proprio “particulare”.
A 150 anni dall’unificazione l’Italia ha bisogno di un nuovo “risorgimento”, per poter svolgere un ruolo significativo in un mondo che sta rinnovando velocemente e profondamente. Come s’è visto, l’unità dell’intero paese nessuno se l’aspettava, eccetto pochi “esaltati” come Mazzini e Garibaldi. (…) In un mondo globalizzato e dominato da grandi potenze territoriali ed economiche il futuro dell’Italia non si può rinchiudere nei confini del regno dell’alta Italia, come s’era concordato tra Cavour e Napoleone III. I politici sono indispensabili per realizzare i progetti storici, ma sono gli utopisti che guardano nel futuro. Mazzini quasi solo vide l’Italia tutta unita. Ed espresse un altro vaticinio: ” L’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”. La questione meridionale è nata insieme all’Italia nel 1861. Ha compiuto anch’essa 150 anni, quindi sono gemelle e non si sono mai separate. Sono diverse ma hanno avuto un destino comune. La differenza principale era che il nord stava dentro l’Europa, il Sud era proteso verso l’Africa. Oggi la logistica ha annullato, questa differenza. E il difetto di un tempo si è trasformato in un’opportunità. (…) Oggi il Mediterraneo non è più mare di retorica, ma è di nuovo un centro di traffici globali. Quando si tornerà in Italia a condizioni politiche e culturali in grado di progettare e realizzare nuove forme di sviluppo e di progresso civile, si potrà guardare al Mezzogiorno come il possibile volano per una ripresa dell’intera società italiana, liberata dal familismo dei clan e rifondata sulla preparazione e la capacità di lavoro del più esteso e inattivo capitale giovanile accumulato e mortificato da oramai troppo tempo.
[Estratto da Francesco Barbagallo, La questione italiana. Il Nord e il Sud dal 1860 a oggi, Bari-Roma, Laterza 2017].