IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’Unione europea tra Federazione e Impero

Continuare a perseguire l’ideale di un’“Unione sempre più stretta” senza dare un chiaro verso a tale moto produce il perpetuarsi dell’equilibrio tra Stati membri e Unione fondato sulla soppressione di ogni discorso attorno alla sovranità popolare.

Contro il mantra dell’UE come esperienza unica e non comparabile

Pensare l’integrazione europea come una vicenda unica nella storia delle esperienze federative e l’Unione europea come un’entità sui generis è stato il mantra di molti studiosi e politici. La ragione di tale approccio è evidente, posto che esso consente quel moto incessante verso un obiettivo indefinito e indefinibile, evitando ogni imbarazzante domanda sullo scopo ultimo dell’impresa europea e, di conseguenza, sull’egemonia che potrebbe realizzarlo. Questo approccio è stato brillantemente criticato da una studiosa (non a caso di origini danesi), per la quale il voler ritenere l’Unione europea un’esperienza non confrontabile costituisce il segno del pregiudizio statualista incentrato sul concetto di sovranità (Rehling Larsen). I processi federativi più noti, di fatti, sembrano nascere attorno all’imperativo programmatico di un progressivo trasferimento della sovranità dagli Stati alla Federazione. Per aggirare questo imbarazzante dato di comparazione storica, le dottrine mainstream dell’integrazione europea hanno segmentato analiticamente la sovranità in una serie di prerogative sovrane (la sovranità fiscale, quella monetaria, ecc.), giungendo a ricostruire una “doppia sovranità” o una “sovranità condivisa” e simili. Si tratta di teorie che non sarebbero – secondo Rehling Larsen – interessate alla sovranità come potere o autorità ultimi (questa, invero, è l’insuperabile lezione del socialdemocratico Herman Heller, in polemica con il formalismo liberale alla vigilia del crollo di Weimar, 1927); queste dottrine vorrebbero obliterare la politicità della federazione attraverso un riduzionismo che banalizza la sovranità a mero esercizio di potere pubblico, nell’implicito assunto che la sovranità sia un vecchio arnese del XIX secolo. Se però, con Rehling Larsen, la politicità della sovranità e l’autonomia e primazia del politico vengono prese sul serio, ecco che allora si schiude una prospettiva inconsueta ma più coerente con i fatti. La federazione è cosa diversa dallo Stato federale compiuto, posto che il suo autentico e ineliminabile scopo sarebbe quello di consentire agli Stati membri di continuare la loro esistenza di Stati, difendendosi attraverso la Federazione dagli agenti esterni che corrodono la loro capacità di esistere nel mondo. Il che è perfettamente in linea con la tesi secondo cui all’origine del progetto europeo, più che un’autentica ricerca di pace in Europa, vi sarebbe l’esigenza di Stati-imperi coloniali di trovare alternative efficienti alla loro degradazione a meri Stati privati delle loro colonie (T. Snyder). Insomma, la Federazione europea nasce per tentare di salvare i vecchi Stati-nazione dal loro declino segnato dall’esito dei due conflitti mondiali (Milward) e della decolonizzazione che allora si andava chiaramente profilando. Ma allora la lezione di Carl Schmitt sull’intrinseca fragilità delle federazioni (destinate immancabilmente a rompersi o a trasformarsi in Stati federali compiuti, stante l’ineludibile esigenza di individuare il sovrano) deve e può assumere una colorazione differente. La federazione è una forma politica distinta dallo Stato federale, in quanto mira a preservare l’equilibrio tra due entità, gli Stati e l’Unione cui essi danno vita, attraverso l’assenza, la critica o la repressione della sovranità stessa (Rehling Larsen, p. 47). Solo rendendo la sovranità un tabù, quell’equilibrio può perpetuarsi. Lo Stato federale compiuto, dunque, non è affatto la meta agognata del federalizing process, bensì il fallimento della Federazione. Il che vale senz’altro per l’Unione europea, la cui trasformazione in uno Stato federale compiuto segnerebbe il tradimento di questa teleologia fondante, posto che determinerebbe la perdita dell’autonomia politica degli Stati membri dinanzi al formarsi di una nazione più comprensiva, sia pure di natura federale. Insomma, il “We, the People”, e la prevalenza dell’identità nazionale federale su quella dei popoli dei singoli Stati membri non sarebbe il coronamento, bensì il fallimento della Federazione e, dunque, della stessa integrazione europea.

L’UE come Federazione e le derive della ‘ragion di Stato’ europea

Alla luce di questa visione alternativa della Federazione e della stessa UE, Rehling Larsen legge la crisi dell’Eurozona (crisi greca e “ribellione” della Corte costituzionale tedesca alle politiche monetarie della BCE) come il tentativo, in parte riuscito, delle istituzioni europee, BCE in testa, di agire come “federal executioner”, esercitando poteri extra ordinem per salvare l’euro e, con esso, l’intera UE. Il che avrebbe inoculato un forte elemento di “ragion di Stato” capace di erodere l’autonomia politica degli Stati membri, e di condurre pericolosamente vicino al collasso della Federazione europea, tradendone il telos.

Per ciò che riguarda la crisi dei valori europei iscritti nell’art. 2 del TUE, innescata dai governi illiberali in Ungheria (dal 2010) e in Polonia (dal 2015), la Rehling Larsen prende elegantemente le distanze dalla diffusa tesi d’origine tedesca dell’UE come “democrazia militante”, capace di difendere i propri valori neutralizzando i suoi nemici interni (J.-W. Müller). Diversamente dalle clausole federali delle costituzioni degli USA e della Germania, all’UE non è conferito il potere di “difendere” le identità costituzionali dei suoi Stati membri (ossia, di garantire ai cittadini di questi una “forma repubblicana”, o simili), al contrario, essa è tenuta a rispettare quelle identità (art. 4.2 TUE), quasi a suggerire che l’UE può rappresentare più una minaccia che un custode di queste identità nazionali. Specularmente, l’art. 7 TUE si presenta più come un dispositivo per difendere l’integrità dell’identità dell’UE dalle minacce provenienti dagli Stati membri, che una clausola federale d’omogeneità diretta a proteggere, contemporaneamente, l’identità di Unione e gli Stati membri. La sanzione che scatterebbe contro lo Stato che violasse gravemente e in modo persistente i valori dell’art. 2 TUE, inoltre, varrebbe a mettere «in quarantena» lo Stato autoritario, senza garantire alcuna possibilità di intervento correttivo all’interno dell’ordinamento nazionale (ossia: senza garantire ai cittadini di quello Stato di tornare a “godere” dei valori comuni). In questo quadro istituzionale (chiaramente iscritto nei Trattati), pensare che sia possibile invocare l’emergenza e l’imperativo politico di salvare l’UE e uno o più Stati membri dal proprio “suicidio costituzionale”, sembra portarci fuori dal discorso giuridico e, soprattutto, dalla natura stessa della Federazione.

Le aporie della dottrina pre-moderna della Federazione

Questo efficace affresco dell’Unione europea come Federazione, quale entità distinta tanto dallo Stato unitario quanto da quello Federale, presenta due grandi aporie sottaciute dalla Rehling Larsen. La prima è la questione di come gli Stati europei sono usciti dal Secondo conflitto mondiale. Come già altre federazioni del passato (le Province unite olandesi contro l’Impero spagnolo, o gli Stati Uniti verso l’Impero britannico), l’UE (secondo la Rehling Larsen) nasce proprio per iniziativa di Stati che si federano per difendersi da grandi imperi limitrofi che li minacciano. E, tuttavia, il nodo che l’Autrice non scioglie è proprio quello del nostro rapporto con gli USA, ossia con il potere neo-imperiale che ha vinto la Seconda guerra mondiale e ha deciso l’assetto del mondo con Yalta e le istituzioni di Bretton Woods. Si tratta di capire, cioè, se gli Stati dell’Europa occidentale siano confluiti nella federazione per salvare la propria indipendenza o per meglio conformarsi – coordinandosi – alle esigenze del nuovo egemone imperiale (Somma; Salmoni). E, di conseguenza, di capire se l’integrazione europea sia potuta avanzare non tanto per suoi meriti intrinseci (l’equilibrio federale interno di cui parla la nostra Autrice), bensì per l’equilibrio esterno imposto dai due blocchi durante la Guerra fredda (Mearsheimer). Nonostante l’attenzione dedicata alla ‘forma impero’, il libro non indaga natura dei rapporti tra Stati europei e USA: la fine della seconda guerra mondiale non produce solo la trasformazione degli Stati imperialisti-colonialisti europei in Stati membri, ma anche la trasformazione di uno Stato “isolazionista” in Stato egemone che sperimenta nuove forme di imperialismo soft, ma pur sempre imperiali, come le basi militari sottratte alla giurisdizione degli Stati “subordinati”, la condizionalità del Piano Marshall ecc.; il controllo delle istituzioni di Bretton Woods, e l’imposizione della propria moneta al mondo intero, ignorando i pericoli per la pace che ciò comporta. Come Keynes aveva intuito, solo la creazione di una moneta, quale unità di conto comune (il Bancor), e di regole simmetriche volte a evitare sia i deficit commerciali che i surplus degli Stati mercantilisti, avrebbe potuto scongiurare il ritorno di squilibri insostenibili e forieri di conflitti e l’indipendenza autentica degli Stati (Keynes).

Il federalismo, per la Rehling Larsen, si basa su una prospettiva di riorganizzazione del mondo alternativa alla dominazione imperiale (conquistare i mercati senza assoggettare i territori), al fine intermedio di accedere a un mercato più largo ma con mezzi pacifici e al fine ultimo di consentire allo Stato (capitalista) di preservarsi politicamente. Ma l’Autrice non sembra considerare fino in fondo la natura stessa dell’economia capitalista, le cui regolarità storiche attestano che il capitalismo nasce intimamente legato alla finanza; il che lo rende non solo bisognoso di nuovi mercati di sbocco, ma anche di un soggetto politico egemone (l’Olanda coloniale del Sei-Settecento, il Regno Unito dell’Ottocento e dei primi del Novecento, gli USA dalla Seconda guerra mondiale) capace di garantire un sistema monetario globale (il gold standard o il dollar standard: Arrighi). In altre parole, l’attualizzazione di una dottrina della federazione nata in altre epoche e con radici nel pluralismo medievale più che nella politica moderna (l’astrarre da qualsiasi idea, non solo di sovranità, ma anche di nazione) deve fare i conti con il dato di un capitalismo monetario necessariamente espansivo, il quale nel suo irresistibile impulso a globalizzarsi, non può fare a meno di un soggetto egemone, che solo può esercitare il controllo sul resto del mondo grazie alla sua sovranità, interna ed esterna (Chessa). Insomma: il Regno Unito dell’Ottocento e fino alla fine del gold standard non era uno Stato-impero tra gli altri (così come, dopo, non lo furono gli USA) e la Federazione potrà essere anche un’alternativa pacifica agli Stati-impero, a tutti tranne uno, però!

Silenziare la sovranità dello Stato… e quella popolare?

La seconda aporia sottaciuta dalla Rehling Larsen è quella del destino assegnato, nella dottrina della Federazione, alla sovranità popolare, ossia alla democrazia. Difatti, parlare dell’esigenza di reprimere, nella Federazione (cioè, nell’UE) ogni discorso sulla sovranità sembra ignorare il dato storico cruciale del passaggio dalla sovranità dello Stato (liberale) alla sovranità popolare delle Costituzioni democratico-pluraliste del Secondo dopo-guerra. A tradire il punto di vista dell’Autrice sta forse l’affermazione secondo cui, mentre la Federazione sarebbe definibile a partire dai suoi fini (l’integrazione economica, la difesa esterna, ecc.), come le sono assegnati dagli Stati membri, lo Stato, weberianamente, è definito alla stregua dei mezzi che impiega o pretende impiegare (il monopolio legittimo della forza). Eppure, dalle guerre di religione in poi, lo Stato moderno ha un telos, quello di disarmare le fazioni portatrici di verità assolute e di porre fine alle guerre di religione che dilaniarono l’Europa tra Cinque e Seicento, al fine di garantire pace e sicurezza interna anche attraverso la sovranità esterna. Telos che si è poi evoluto nell’esigenza di integrare le masse lavoratrici nello Stato capitalista, garantendo a livello costituzionale che il conflitto sociale possa svolgersi entro binari democratici (Bin). Il silenzio sulla sovranità popolare che regna nella dottrina della Federazione patrocinata dalla Rehling Larsen insinua, allora, il dubbio che l’Autrice ritenga che il fine del disarmo delle forze sociali antagoniste non sia più così pressante e che, pertanto, si possa ormai astrarre dalla sovranità, ossia dal mezzo che a quel disarmo è finalizzata. A ciò sembra strettamente imparentata l’idea ordoliberale di una società di individui pacificati attraverso l’economia di mercato e la concorrenza entro spazi non più imperiali (De Carolis). Le crisi esistenziali dell’UE, così sapientemente analizzate dalla Rehling Larsen, sono in fondo figlie dell’illusione di poter far a meno della sovranità popolare, ossia di un’autorità politica “universale” su un determinato territorio, capace di mediare i conflitti democraticamente perché dotata di autorità indiscussa (Heller), e così di “disarmare” anche i potentati economici che prosperano nell’assenza di eteronomia e di confini (Supiot). La crisi greca (e degli altri “PIIGS”) nasce dall’esternalizzazione ai mercati delle funzioni solidaristiche imposte dall’unificazione di aree economiche forti e deboli (Guazzarotti, 2016); quella di Ungheria e Polonia, dall’esternalizzazione al capitale transnazionale della funzione di legittimazione del potere politico, dopo la drastica neutralizzazione di ogni identità di classe e il disarmo incondizionato dei lavoratori e delle istituzioni capaci di rappresentarli (Guazzarotti, 2023). Se letta in questa ottica, la teoria della Federazione assume coloriture sinistre. Sarà forse un caso che i paralleli storico-costituzionali più approfonditi dalla Rehling Larsen siano quelli tra l’UE e le concrete esperienze federali degli USA, prima della guerra di secessione e dell’abolizione della schiavitù, e della Confederazione tedesca tra i Principi germanici (1815-66), nata per garantire la forma di stato e di governo monarchica contro i moti liberali democratici? Ossia, esperienze storiche in cui non si era ancora affermata la sovranità popolare come espressione di un popolo che solo nella mediazione del sovrano (lo Stato costituzionale democratico) riesce a esprimersi come unità, senza rinnegare la naturale conflittualità insita nella sua pluralità, ossia democraticamente (Heller; Bin).

Le ombre lunghe della storia europea e dell’idea imperiale premoderna

Stati Uniti prima della trasformazione in autentico Stato federale e Confederazione tedesca di metà Ottocento costituiscono anche due esperienze in cui l’obiettivo della federazione era profondamente anti-storico (la conservazione dello schiavismo, negli Stati americani ‘confederati’ del Sud; la conservazione del potere monarchico antidemocratico). E qui veniamo al rapporto tra integrazione europea e storia. La teoria della Federazione, il cui equilibrio tra Stati membri e Unione è garantito dalla soppressione di ogni invocazione della – e tantomeno ricorso alla – sovranità, è una sorta di sostituto funzionale dell’Impero, come la stessa Autrice lascia più di una volta emergere. Se le tragedie delle due guerre mondiali europee sono il passato prossimo che l’Europa ha invocato per nobilitare la propria volontà di perseguire la pace attraverso l’integrazione economica, esiste però un passato più profondo, con cui l’Europa fatica ancora a confrontarsi. Il passato oscuro dell’Europa è stato ridotto al superamento dei totalitarismi, prima di quelli nazi-fascisti, poi di quelli comunisti (che una Risoluzione del Parlamento europeo del 2019 ha sfacciatamente equiparato), occultando il dato che, accanto alla storia degli eccessi del nazionalismo degli Stati, esiste quella degli eccessi del mercato (Polanyi) e del loro superamento attraverso l’emancipazione collettiva perseguita con lo Stato sociale in Europa (Somek, 2013). Parallelamente alla riscrittura della storia (colpevolizzando gli eccessi dello Stato-nazione ed assolvendo quelli del capitalismo), l’UE rafforzava la sua volontà di imperniarsi attorno agli obiettivi di crescita e stabilità. Obiettivi, in qualche modo, premoderni, che ignorano quello del perseguimento dell’autenticità della vita di una comunità (Somek, 2005), come del resto Pasolini aveva con grande anticipo presentito nella sua polemica contro lo sviluppo al posto del progresso (Cantaro).

Nel passato dell’Europa, di quella continentale, troneggia l’idea di Impero, quale entità permanente, atemporale, che garantisce la pace, soprattutto quella con Dio, la cui missione è quella di creare un mondo in cui un tempo irreversibile riproduce un presente immutabile (Somek, 2005). In questo senso, la c.d. Costituzione europea sembra somigliare più alle costituzioni premoderne fondate sull’equilibrio tra forze sociali (monarchia, aristocrazia di spada e di toga) e sull’obiettivo di reagire alla degenerazione del tempo (il Katechon dello Schmitt del Nomos della Terra), che non all’idea moderna di Costituzione come artificio necessario per l’azione collettiva, indispensabile per elevarsi al di sopra della “falsa necessità” di un ordine naturale immodificabile, sia esso il privilegio ereditario o le leggi economiche immutabili (Somek, 2005; Preterossi). L’Impero, non troppo diversamente dalla Federazione che sopprime ogni idea di sovranità popolare, è chiamato a perpetuare se stesso. Un’idea che nell’Unione è trasfigurata nel “significante vuoto” dell’Unione sempre più stretta (Somek e Rendl) e nelle logiche imperscrutabili dei vincoli di bilancio ancorati a parametri non osservabili (Clericetti). «Senza conoscere le ragioni storiche del Progetto Europeo, senza una vera analisi della crisi, e senza l’idea concreta di un futuro desiderabile, possiamo solo riprodurre e riprodurre e riprodurre l’esistente: una multipla crisi» (Menasse).

Opere citate

Arrighi G., Il lungo XX secolo: denaro, potere e le origini del nostro tempo, Milano 2014.

Bin R., Che cos’è la Costituzione?, in Quaderni costituzionali 2007/1, 11-52.

Cantaro A., Postpandemia. Pensieri (meta)giuridici, Torino 2021.

Chessa O., Il primato della geopolitica, in La Fionda 2/2022, Guerra o pace. I destini del mondo, 41ss.

Clericetti C., Le regole del Mes sono la prova che questa Europa è senza speranza, in MicroMega, luglio 2023.

De Carolis M., Il rovescio della libertà. Tramonto del liberalismo e disagio della civiltà, Macerata 2017.

Guazzarotti A., Crisi dell’Euro e conflitto sociale. L’illusione della giustizia attraverso il mercato, Milano, 2016.

Guazzarotti A., Neoliberismo e difesa dello Stato di diritto in Europa. Riflessioni critiche sulla costituzione materiale dell’UE, Milano, 2023.

Heller H., La Sovranità. Contributo alla teoria del diritto dello Stato e del diritto internazionale (1927), in Id., La Sovranità ed altri scritti sulla dottrina del diritto e dello Stato (a cura di P. Pasquino), Milano  1987, 67ss.

Keynes J.M., Eutopia. Proposte per una moneta internazionale (a cura di L. Fantacci), Milano 2011.

Mearsheimer J.J., Back to the Future. Instability in Europe After the Cold War, in International Security, 1990, Vol. 15, No. 1, 5ss.

Menasse R., Un messaggero per l’Europa (2015), Palermo, 2019.

Milward A., The European Rescue of the Nation-State, 2nd ed., Oxon, 2000.

Müller J-W, Militant Democracy and Constitutional Identity, in G. Jacobsohn e M. Schor, Comparative Constitutional Theory, Cheltenham, 2018, 434ss.

Polanyi K., La grande trasformazione: le origini economiche e politiche della nostra epoca (1944), Torino 2010.

Preterossi G., Teologia politica e diritto, Bari-Roma 2022.

Rehling Larsen S., The Constitutional Theory of the Federation and the European Union, Oxford 2021.

Salmoni F., Guerra o pace: Stati Uniti, Cina e l’Europa che non c’è, Napoli 2022.

Schmitt C., Il nomos della terra nel diritto internazionale dello ‘jus publicum europaeum’ [1950], Milano 1991.

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Somek A., Constitutional Errinnerungsarbeit: Ambivalence and Translation, in German Law Journal, v. 6, n. 2, 2005, 357ss.

Somek A., What Is Political Union?, in German Law Journal, v. 14, n. 5, 2013, 578ss.

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Somma A., Sotto l’atlantismo niente. L’Europa messa a nudo dalla guerra ucraina, in La Fionda 2022.

Supiot A., La gouvernance par les nombres : cours au Collège de France (2012-214), Parigi 2015.

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