IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

L’uso alternativo del diritto 50 anni dopo (seconda parte)

Quattro incontri per celebrare un Convegno che è rimasto nel mito. Pubblichiamo l'Introduzione della relazione di Antonio Cantaro al secondo seminario dedicato all'uso alternativo del diritto, svoltosi all'Università La Sapienza di Roma il 27 gennaio 2023 e di cui trovate qui la registrazione completa.

La critica sotterranea, ma anche più ricorrente, rivolta all’uso alternativo del diritto e alla giurisprudenza alternativa è quella che entrambe le formule, benché stilisticamente efficaci, costituiscono una sorta di significante vuoto. I suoi numerosi detrattori la considerano un’accusa infamante e non prendono in considerazione l’ipotesi che in ciò risieda la ragione del suo, pur temporalmente limitato, successo e del suo perdurante mito. Sbagliano.
Cos’è, infatti, un significante vuoto? È un discorso che in virtù della sua indeterminatezza si presta ad essere riempito di significati eterogenei. Naturalmente, se l’indeterminatezza è segno di imprecisione l’insuccesso e l’oblio sono certi. Di tale vaghezza è, ad esempio, oggi impregnato il dilagante discorso su le magnifiche e progressive sorti della resilienza. Se, viceversa, l’indeterminatezza del significante è frutto di un quid che incarna lo spirito di un’epoca il suo fascino è destinato a perdurare nel tempo.
Il comune denominatore di cui parliamo è, nel nostro caso, la diffusa insoddisfazione della scienza giuridica degli anni ’60 nei confronti del positivismo legalista, di un arsenale concettuale vissuto come un insormontabile ostacolo ad assolvere il compito di essere parte di un ordinamento adeguato alle richieste di radicali mutamenti che venivano dalla società italiana. Quell’autunno caldo, lungo e largo, di cui mi sono occupato nelle pagine di Costituzionalismo.it.
Tanti giovani giuristi della cattedra ed operatori erano all’epoca alla ricerca di una via di uscita, di una alternativa. Un’alternativa da che cosa? Dal paradigma della neutralità del diritto, dalla rappresentazione dei giuristi come ceto incurante della storia e della temporalità. Volevano marcare una distanza sia dalla giurisprudenza dei concetti sia dalla giurisprudenza degli interessi. Alle quali veniva imputato – dirà Mario Barcellona nel nostro terzo seminario – di oscurare nell’irrilevanza giuridica il novum sociale e di sterilizzare il novum normativo entro le categorie del sistema, di degradarlo al rango di eccezione (M. Barcellona, 2023). Erano alla ricerca – osservava Luigi Ferrajoli al convegno Giustizia e potere del 1971- di qualcosa che fosse “il contrario dell’interpretazione evolutiva” alla quale si imputava di svolgere un’opera separata e tecnica di mediazione sociale, ignorando i conflitti, le contraddizioni e le fratture che attraversavano il sistema normativo.
Il merito di Pietro Barcellona fu quella di riunire quei giuristi a ‘Congresso’. Straordinaria intuizione visto che tanti là materialmente non presenti si sentiranno obbligati a misurarsi con l’evento, a prendere posizione, sia pur per imputare il successo del programma alternativo ad una adesione emotivo-ideologica al ’68. A sociologismo, politicismo, progressismo.
Giudizio liquidatorio, caricaturale. A cui sfuggiva che il consenso di cui godevano le formule “uso alternativo del diritto” e “giurisprudenza alternativa” dipendeva dall’essere “altamente rappresentative” di una diffusa tensione oppositiva non solo tra giovani studenti ed operai ma anche tra coloro che esercitavano funzioni intellettuali. Interpreti e operatori del diritto, insegnanti, medici, dipendenti pubblici. Il lungo e largo autunno caldo, appunto.

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