(…) Mentre le donne non provano una necessità altrettanto drastica di rompere con la natura per divenire cittadine della cultura, gli uomini hanno avuto un maggior bisogno di sviluppare quest’ultima per allontanarsi dalla condizione semplicemente istintuale. Con maggiore intenzionalità delle donne, hanno costruito la società (il patriarcato occidentale), le sue luminose conquiste e le sue oscure bugie (tra le quali, quasi inevitabilmente, quella di una superiorità maschile, per dare più fondamento all’edificio).
In un testo che significativamente si intitola Fragment gegen das Mӓnnergesclecht (Frammento contro il sesso maschile) Franz Weefel ha descritto questo percorso in due immagini. La bambina che gioca con la bambola sperimenta una continuità con il proprio essere: propriamente, non «gioca», vive già un senso possibile della propria vita. Non così il coetaneo maschio, che si ricopre di armi e uniformi: egli inventa un senso che può dare – ma per fortuna anche non dare – alla sua vita.
Riassumiamo Werfel con le nostre parole. Nella donna, il gioco ripete l’essere. Nel maschio, l’essere ripete il gioco e, se questo è sanguinario, insegna a sé stesso la crudeltà. Nella sua anima stanno ancora sia (individualmente, ontogeneticamente) il bambino che giocava alla guerra, sia (come memoria della specie, filogeneticamente) l’ominide preistorico cacciatore. Così, a poco a poco, il maschio fabbrica un immaginario di eserciti e di eroi: e, con esso, una cultura della violenza e della morte. Da grande rievocherà il gioco, permettendosi di continuare a viverlo con emozione gioiosa. Per questo gli ufficiali possono discutere di soldati da far avanzare o arretrare, calcolando già quanti ne moriranno, a tavolino, con un bicchiere in mano. Come se non parlassero di morti vere. Così, i soldati possono fare la guerra anche alle donne. E raccontare senza sentimenti di colpa ai commilitoni quante ne hanno conquistate in senso letteralmente militare; con la violenza”.