IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Piano Draghi, o dell’economia di guerra

Un dato su tutti: delle 50 più importanti società tecnologiche mondiali, appena quattro sono europee. Nel suo rapporto sullo stato comatoso dell’economia europea, pubblicato lunedì 9 settembre, Mario Draghi è stato chiaro: occorrono tanti soldi per «competere». Circa 800 miliardi di euro all’anno, corrispondenti al 4,5% del Pil comunitario nel 2023, per tre anni. Tanto per iniziare. La parola ripetuta ossessivamente come un mantra è quella di «autosufficienza», che per analogia richiama alla mente quella ben più sinistra di «autarchia». «l’Unione Europea dovrebbe orientarsi – afferma solennemente Draghi – verso l’emissione regolare di strumenti di debito comune per consentire progetti di investimento congiunti tra gli Stati membri». Siamo alla svolta keynesiana? Ma neppure per sogno. Si legge infatti nella relazione immediatamente dopo: «e contribuire all’integrazione dei mercati dei capitali».  La regia dell’operazione non sarà dunque affidata alla mano pubblica ma resterà saldamente in capo alle banche e ai fondi privati da far crescere, che avranno il compito di «drenare» il risparmio privato dei cittadini europei. Il tutto si svolgerà rigorosamente in ambito privato, di investimenti pubblici, magari in deficit, neppure a parlarne. E a beneficiare di questo “rastrellamento” di risorse senza precedenti non saranno ovviamente il lavoro povero, in grande espansione, la sanità pubblica, ovunque al collasso, la scuola o più in generale lo Stato sociale. L’urgentissima inversione di tendenza passa invece per il rilancio dell’innovazione, identificata senza riserve con l’energia, la difesa e la farmaceutica. «Per massimizzare la produttività – prosegue Draghi –, sarà necessario un finanziamento congiunto negli investimenti in beni pubblici europei fondamentali, come per esempio i settori più innovativi». Paradosso dei paradossi, ci si predispone a fronteggiare la crisi forse più grave dal dopoguerra con l’intensificazione di quelle stesse ricette e con la stessa classe dirigente che l’hanno prodotta.

I destinatari, mediante la sottoscrizione di titoli azionari da parte di risparmiatori, saranno dunque l’industria bellica e quella farmaceutica, perché in un contesto di «permacrisi» (C. Lagarde), precisa sempre Draghi, «la sicurezza è un prerequisito per una crescita sostenibile». Per le guerre presenti e future contro i virus e in primis contro la Russia, eletto a nemico assoluto.  E qui si disvela il misero inganno. Perché nel mentre ci si gonfia il petto rivendicando una presunta autonomia europea, rispetto all’ingombrante alleato americano, se ne assume senza batter ciglio l’agenda, con le sue priorità strategiche e geo-economiche. Ma forse è proprio questo il tacito scambio che vi è sotteso. Un guinzaglio appena più lungo da consentire la formazione di un qualche “campione” finanziario europeo, relativamente autonomo, del risparmio gestito, per il nuovo uomo finanziario che verrà (mutazione genetica ulteriore dell’homo oeconomicus). La contropartita sarà raccogliere il testimone dall’Ucraina per proseguire e rilanciare la guerra “per procura” contro la Russia di Putin, su scala continentale. Dunque, a tappe forzate si marcia verso un’economia integralmente di guerra, con tutto quanto il resto, ovvero l’essenziale, che rischia di finire alle ortiche. Non vi sarà spazio per la spesa dei singoli Paesi a sostegno del loro welfare, perché surclassata quella spesa dal debito comune super garantito e protetto a sostegno della macchina bellica da allestire, che alimenterà indirettamente per questo l’ennesima stagione di austerity. Il tutto confezionato nella solita cornice verticistica a contenuto tecnocratico. Un piano che umilia ancora una volta l’Europa dei popoli e dei cittadini per esaltare la centralità dell’onnipotente Commissione e dei suoi «epistocrati» (G. Preterossi). Che mirabile e lungimirante strategia!

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