Parole che risuonano “inattuali” rispetto alla narrazione guerrafondaia dominante, ma tanto più necessarie per interpretare il nostro presente. Ma chi sono oggi questi poveri di cui parlava il filosofo francese, contro cui la guerra si accanisce?
Poveri, occupabili
Per stare al caso italiano, sicuramente quelli rilevati dalle indagini statistiche: circa 13 milioni di persone, tra poveri relativi ed assoluti. Ed in questo dato non sono ricompresi i tanti semi schiavi che lavorano in clandestinità nelle campagne del Sud e del Nord, al soldo dei nuovi caporali. Se poi ci si prova ad attraversarli quei numeri, lo scenario che emerge è ancora, se possibile, più inquietante. Si scopre che una parte consistente di quell’«esercito industriale di riserva» è costituita da lavoratori che pur lavorando sono sotto la soglia di sussistenza. La triste conferma di una saldatura ormai tra povertà e lavoro è nella circostanza che circa un 20% degli attuali percettori di Reddito di cittadinanza risulta occupato. Ora, se chi lavora nel nostro Paese ha bisogno di un assegno integrativo per vivere, come si può pensare che lo possa fare senza alcuna protezione sociale chi rientra nella categoria di «occupabile»? Che sono, nella perversa formula escogitata dal governo, tutti coloro che rientrano nella fascia di età tra i 18 e i 59 anni, senza disabili o minori a carico.
Chi ha tracciato la rotta?
Ma, per ritornare al discorso principale, tutto ciò non deve sconvolgere più di tanto: c’è sempre del metodo in ogni apparente follia. Il nostro Paese rappresenta solo il caso più estremo e per questo utilmente paradigmatico di un processo di svalorizzazione ed impoverimento del lavoro che ha riguardato, sia pure in modi differenziati, tutta L’Europa, dopo che nell’anglosfera i referenti politici del neoliberismo montante, Thatcher e Reagan, avevano tracciato la rotta. E non lasciamoci fuorviare dalle statistiche, che vanno come tutte le cose umane sempre interpretate. Si cita spesso il caso italiano degli ultimi 30 anni di arretramento dello stipendio medio del 3%, in controtendenza con gli altri Paesi e con la Germania in particolare. Ma si omette di ricordare che gli incrementi registrati in quei Paesi non sono serviti a riequilibrare la forbice tra redditi da capitale e redditi da lavoro. Anzi quella divaricazione si è intensificata come documentato da Brancaccio nel suo recente saggio Non sarà un pranzo di gala.