Scusate il ritardo… Ma volevamo essere sicuri di averci visto bene, circa un mese fa, quando pensavamo di avere intravisto all’orizzonte i colori delle sconfitte elettorali che le sinistre europee venivano accumulando un po’ dappertutto. Dati già allora impietosi che indicavano chiaramente che i colori non erano da nessuna parte quelli della rinascita, dell’arcobaleno. Ci siamo dati un po’ più di tempo per chiudere questo numero tredici. Abbiamo fatto bene. I colori erano, in verità, quelli dell’arcobaleno, ma di un arcobaleno capovolto, con le sembianze di un sorriso. Il sorriso delle destre, di quasi tutte le destre europee. Da un mare ad un altro, da Nord a Sud, da Oriente a Occidente. E da ultimo l’inquietante vittoria di alternative für Deutschland alle elezioni per il distretto di Sonnenberg in Turingia che sarà governato dall’estrema destra para-nazista.
L’arcobaleno capovolto ha il vantaggio che i colori si distinguono meglio. A saperli osservare. Ma le sinistre europee, a partire da quelle italiane, pensano che le proprie ripetute sconfitte elettorali e le ripetute vittorie elettorali degli avversari siano il prodotto di un altro fenomeno meteorologico. Il vento, lo chiamano il vento di destra. Un vento che come è improvvisamente venuto altrettanto improvvisamente andrà via. Sbagliano. Ammesso che le sembianze delle vittorie delle destre siano quelle del vento, si tratta di un vento che non è affatto destinato ad andare via presto. Basterebbe guardare, con umiltà e sano realismo, cosa c’è dietro quell’arcobaleno con le sembianze di un sorriso.
C’è la consapevolezza delle destre di essere entrati in connessione emotiva con larghi strati sociali, con i bisogni e le paure delle loro nazioni, dei loro popoli. Concediamo pure che si tratti di un vento, questo vento le sinistre europee non l’hanno nemmeno visto arrivare. E mentre, già oggi, si profila una storica alleanza tra conservatori e popolari e uno spostamento verso est del baricentro politico dell’Unione, le sinistre di tutti i colori si dilettano a parlare di questioni identitarie. Non vedono che la coincidenza della caduta del Pd a tutte le elezioni amministrative degli ultimi mesi con le galoppate della destra radicale nei paesi nordici, con le sconfitte delle sinistre in Grecia e in Germania, indica che siamo di fronte alla chiusura di un ciclo politico europeo che metterà in un angolo, per un lungo periodo, tutte le sinistre europee, qualsivoglia sia il loro colore. Quelle socialiste e social-democratiche non meno di quelle radicali. Con l’eccezione, è il nostro auspicio (ma nutriamo molti dubbi), della Spagna – vedremo presto – e della Francia.
Bisogna guardare in faccia, contestualmente, i colori delle vittorie delle destre e i colori delle sconfitte delle sinistre. Bisogna mettere da canto tutte le rappresentazioni autoconsolatorie. Le ragioni della sconfitta sono sostanzialmente le stesse dappertutto. Una su tutte. Il molecolare consenso di cui continua a godere il capitalismo neoliberale anche, se non ancor di più, nella sua odierna declinazione politica neo-conservatrice e neo-populista. Siamo di fronte a ragioni profonde – sociali ed emotive – che rendono preferibile, agli occhi degli elettori, la proposta delle destre rispetto alle confuse ed elitarie rivendicazioni delle sinistre. L’impietoso quadro offerto dai contributi che pubblichiamo (altri ne seguiranno nei prossimi numeri) non lascia adito a dubbi. Lo spartito è omogeneo.
Ciò che, ad esempio, tutti i partiti della sinistra greca hanno in comune è la loro totale incomprensione del consenso di massa alla narrazione di un Paese che sente di vivere una rinascita, alla narrazione di un governo che offre la speranza di un presente che la sinistra non ha saputo costruire. E il quadro sostanzialmente non cambia se ci spostiamo in Spagna dove anche lì la deriva identitaria e la frammentazione delle sinistre contribuisce ad alimentare l’immagine di queste come nuove élite burocratizzate preoccupate principalmente della propria autoconservazione. E anche la nuova coalizione attorno a Sumar rischia di apparire un mosaico di interessi ampiamente dispersi, motivati dalla logica della sopravvivenza in spazi territoriali in potenziale conflitto. Tutte le sinistre europee, tanto quelle socialdemocratiche quanto quelle radicali, sono, in realtà, fuori fase. E ancora più che della sconfitta quantitativa colpisce, soprattutto nel nostro Paese, il segno di classe della dilagante astensione e il voto alle destre delle fasce sociali più in difficoltà. Chi ha più bisogno della Politica sta lontano dalla politica e, quando si avvicina alla politica, sta lontano dalle sinistre.
Se questo è il significato epocale delle sconfitte che le sinistre europee stanno regolarmente accumulando in quasi tutte le competizioni elettorali, epocale deve essere l’analisi che è necessario mettere in campo. Cominciando ad imparare dagli avversari della sinistra, da quel neoliberalismo neo-conservatore e neo-populista che sta mostrando di sapere vincere dappertutto in Europa. Servirà anche fare tesoro di quelle pratiche di ricostruzione dei legami sociali (lo spirito originario delle esperienze di Syriza e Podemos) che in certi periodi hanno permesso di riallacciare i rapporti tra alcuni soggetti politici e le fasce sociali più disgregate. Non sarà, infatti, un ciclo breve, non siamo di fronte ad un fenomeno meteorologico ma storico-politico. È il momento di smettere di declamare il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà. È il momento di praticarli. Solo così un giorno sarà possibile rivedere i colori della vittoria.
Post scriptum. Nelle ore in cui chiudevamo il numero si consumava la cosiddetta marcia su Mosca. Torneremo sulla questione. Ma già le prime anticipazioni contenute in questo numero (i contributi di Vincent Ligorio, Mario Del Vecchio, Andrea Borrelli) aprono un terreno di riflessione di grande interesse e pregio.