IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Sei luoghi comuni sull’Africa

L’Africa, un continente senza storia, eternamente stagnante, indifferenziato al suo interno e i cui abitanti hanno come unico scopo la fuga verso l’Europa. Luoghi comuni che alimentano il pregiudizio eurocentrico e ostacolano ogni cooperazione.

Il caso dell’Africa appare abbastanza rappresentativo dello scarso livello di conoscenza del mondo nell’opinione pubblica dei nostri paesi, ignoranza che i media e il mondo politico non fanno quasi nulla per ridurre, anzi alimentano ad arte. Spesso la conoscenza della realtà si limita così ad alcuni luoghi comuni senza molto fondamento.

Abbiamo individuato a questo proposito sei questioni che riguardano il continente africano e sulle quali le idee che circolano appaiono perlomeno confuse. E non dovrebbero essere peraltro le sole, anche se sono forse le più vistose.

Un continente senza storia?

Per la gran parte delle persone istruite la storia dell’Africa ha inizio al massimo con l’arrivo degli europei nel continente, prima con la tratta dei neri verso le Americhe, poi con la colonizzazione vera e propria. In realtà il continente ha una storia molto antica e molto ricca. È sostanzialmente dagli anni cinquanta del Novecento che gli storici africani e stranieri hanno cominciato a far conoscerla meglio (Piot, 2023, a).

Un’analoga errata convinzione si focalizza sulla pretesa assenza di una tradizione scritta nel continente. La scoperta recente da parte della stampa occidentale dell’esistenza di una grande raccolta di testi manoscritti a Timbuctu basterebbe da sola a testimoniare il contrario. Si pensa infine da più parti che l’Africa sia stata colonizzata da molto tempo. In realtà è solo a partire dagli ultimi decenni del XIX secolo che i vari paesi del continente sono caduti dentro la dominazione europea. Quindi il controllo pieno da parte degli stranieri è durato meno di un secolo.

Un continente stagnante?

Una delle convinzioni più diffuse sull’economia africana è quella che essa sia, oltre che povera, stagnante nel tempo e senza grandi prospettive di sviluppo.

Ora è certamente vero che il continente presenta molti problemi, dai livelli di povertà (secondo i criteri della Banca Mondiale, ancora nel 2019 il 38% della popolazione viveva al disotto della soglia della povertà estrema), che sono tra i più gravi del mondo, alla presenza di molte zone in via di desertificazione, ai molti conflitti interni e così via. Ma d’altro canto, esso si va sviluppando economicamente e a ritmi abbastanza sostenuti.

A partire dal 2000 e per circa 15 anni, il pil del continente è aumentato così ogni anno tra il 4% e il 7%; è seguito poi un periodo di maggiori difficoltà, anche in relazione al covid, ma il consuntivo per il 2021 segna di nuovo un +4,8% e quello per il 2022 il +3,8, mentre le previsioni per il 2023 e per il 2024, secondo l’African Development Bank, sono per una crescita annuale del pil di circa il 4%, ciò che è molto di più della media mondiale nello stesso periodo. Per la Banca Mondiale le previsioni sono ancora più positive; essa stima almeno per il 2023 un aumento del 5,0%.

Certo non siamo ai livelli di crescita di molti paesi asiatici al momento del loro primo sviluppo, ma comunque si tratta di cifre che indicano che nel lungo termine il continente dovrebbe riuscire a migliorare fortemente la sua posizione economica.

Tra gli elementi che possono spingere in alto l’economia nei prossimi anni bisogna intanto ricordare la presenza nel sottosuolo di molte materie prime cruciali, importanti anche per lo sviluppo delle energie rinnovabili. L’Africa possiede un terzo delle riserve minerali mondiali. Il processo, ancora solo parzialmente in atto, è quello di arrivare a non esportare più i materiali grezzi, ma di aprire la strada alla trasformazione locale.  Parallelamente, un altro fattore contiguo favorevole è rappresentato dall’ enorme potenziale del continente sul fronte delle stesse energie rinnovabili.

La crescita demografica mondiale si concentra poi in Africa (Le Monde Afrique, 2023). Nel 2000 quella del continente rappresentava il 13% della popolazione mondiale; nel 2020 si era arrivati al 17%, mentre nel 2050 si dovrebbe raggiungere il 26%. Intanto va considerato che la speranza di vita alla nascita era nel 1970 di 45 anni mentre nel 2021 essa era salita a 62. Così entro il 2050 l’Africa aggiungerà circa 770 milioni di persone alla forza lavoro mondiale. Si tratterà di una forza lavoro giovane, flessibile, sensibile alle tecnologie, come sottolinea anche un recente rapporto dell’Onu (Unctad, 2023). Inoltre il continente conseguirà un enorme potenziale di mercato che farà gola alle grandi imprese anche di altri continenti.

Tra gli atout va poi considerata la creazione di un’unione doganale. Nel 2019, dopo diversi anni di preparazione, l’Unione Africana ha lanciato la zona di libero scambio continentale africana, che mira a creare un vasto mercato comune. Vi hanno aderito tutti i paesi africani, tranne l’Eritrea. Da allora il progetto va avanti anche se con qualche difficoltà e dovrebbe produrre con il tempo frutti molto importanti.

Vogliamo infine considerare che il livello tecnologico dei vari paesi del continente è di nuovo superiore a quanto si pensa comunemente. Così (Magnani, 2023) l’economia digitale africana potrebbe lievitare dai 115 miliardi di dollari registrati nel 2020 ai 180 miliardi previsti per il 2025, con un’incidenza del 5,2% sul pil del continente nello stesso anno. I flussi di investimento relativi anche nel 2022 si sono concentrati in quattro paesi, Nigeria, Sudafrica, Kenya ed Egitto, ma in seconda fila avanzano anche paesi come Costa d’Avorio, Ghana, Uganda, Tanzania e Tunisia.

Ma non mancano comunque dei punti deboli che potrebbero rallentare lo sviluppo. Tra questi la carenza di infrastrutture, la corruzione diffusa, le difficoltà climatiche, i conflitti persistenti, la mancanza di capitali, le potenze esterne interessate a che il continente non faccia progressi adeguati.

Un continente dove tutte le vacche sono nere?

La percezione dell’Africa nell’opinione pubblica appare poi quella di una realtà economica e sociale, oltre che immobile, sostanzialmente uniforme, da nord a sud, da est a ovest, una notte in cui tutte le vacche sono nere.

In realtà le differenze di tassi di sviluppo, di reddito pro-capite, di concentrazione delle ricchezze tra i vari paesi e all’interno degli stessi sono tra le più elevate del mondo. Più in generale, appare sempre troppo semplicistico parlare di Africa al singolare, come ci ricorda un grande esperto, Hubert Védrine (Védrine, 2021). C’è intanto una netta demarcazione tra l’Africa del Nord e quella sub-sahariana, distinguibile quest’ultima a sua volta in Africa dell’Ovest, Africa Centrale, Africa dell’Est, Africa dei grandi laghi, Africa Australe, Madagascar. E poi bisogna considerare la differente storia del popolamento dei vari territori, delle migrazioni, di quella politica, le diverse etnie, religioni, lingue, le differenti decolonizzazioni, le varie situazioni agricole, climatiche, ecc.; tutto questo comporta fortissime differenziazioni.

Per quanto riguarda le stime di crescita del pil, abbiamo accennato a quelle generali della Banca Africana di Sviluppo e della Banca Mondiale. Ma, a fronte delle citate previsioni di crescita complessiva del pil del 4% per il 2023 e 2024, fatta dal primo ente, la performance dei vari paesi appare molto differenziata. Così per la Libia si prevede per il periodo una crescita annuale del 12,9%, del 9,6% per il Niger, del 9,4% per il Senegal, del 7,9% per il Ruanda, del 7,1% per la Costa d’Avorio. Viste poi queste cifre, evidentemente diversi paesi si collocheranno invece anche molto al disotto del valore medio.

Per quanto riguarda ancora le differenze di reddito pro-capite tra i vari paesi, a parte i casi di due piccole realtà, le Seychelles e Mauritius, che presentano un reddito pro-capite molto elevato, i paesi del Nord Africa che si affacciano sul Mediterraneo, per quanto riguarda il pil pro-capite  a prezzi di mercato nel 2022  vanno dagli 8.200 dollari della Libia, ai 3.800/3.900 dell’Egitto, della Tunisia, del Marocco, con il Botswana a 6.400 dollari, contro cifre di soli 262 dollari per il Burundi, 363 dollari della Repubblica Centro-Africana, 529 del Congo e 545 del Niger. Una differenza sino a quindici volte.

In relazione poi al livello di concentrazione della ricchezza all’interno dei vari paesi, utilizzando l’indice di Gini, scopriamo (Caramel, 2023) che tra i 40 con la distribuzione della ricchezza più inegualitaria al mondo ben 21 sono africani, rivaleggiando vittoriosamente con il continente americano.

Un continente da cui gli emigranti fuggono?

In Europa appare ancora diffusa una convenzione inesatta, quella per cui le persone emigrino dal continente africano per dirigersi in Occidente, in particolare in Europa. La realtà appare abbastanza differente. Le cifre disponibili sono piuttosto varie secondo le fonti, ma le più attendibili sembrano essere quelle rilasciate dal Centro di studi strategici dell’Africa (Courrier International, 2023). Tali cifre ci dicono che nel 2020 sono 40 milioni gli africani che hanno lasciato il loro paese, prevalentemente per i conflitti in atto, per la povertà estrema e per i progressivi disastri ambientali che stanno in particolare portando alla desertificazione di molti territori. Tali cifre sono in costante aumento nel tempo e nei dieci anni precedenti erano cresciute del 30%.

Ma l’organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) precisa in un suo rapporto che ben l’80% dei rifugiati africani ha trovato asilo in altri paesi dello stesso continente. Quelli che ne hanno raccolti di più sono stati da una parte l’Africa del Sud, con 2,9 milioni entrati ufficialmente nel paese in un anno (mentre in realtà dovrebbero essere quattro volte di più), la Costa d’Avorio, l’Uganda. La parte più consistente degli emigranti dai paesi del Magreb si dirigono verso l’Europa insieme anche ad alcune “correnti” dell’Africa sub-sahariana. Tra i paesi di emigrazione si possono segnalare tra l’altro la Repubblica Democratica del Congo, il Burkina Faso, la Somalia, il Sudan, il Sudan del Sud. Ma in tutti i paesi di accoglienza o di transito si vanno purtroppo diffondendo dei movimenti ostili all’immigrazione, mentre anche diversi governi stanno prendendo dei provvedimenti anche drastici contro gli stessi immigrati.

Un continente sotto il tallone cinese?

Un altro luogo comune riguarda il preteso sfruttamento dell’Africa da parte della Cina.

E’ certamente vero che la presenza della Cina in Africa è molto rilevante; tra l’altro, mentre quasi tutti gli Stati africani partecipano alla Belt and Road Initiative cinese, più di 10.000 aziende del paese asiatico sono presenti nel continente e la Cina è il più importante partner commerciale dell’Africa. Nel 2022 il volume dell’interscambio ha raggiunto una punta di 282 miliardi di dollari, rappresentando le esportazioni dall’Africa verso la Cina circa il 13% di quelle totali (un’altra fonte arriva a stimare il 18%) contro lo 0,8% degli inizi del secolo. Anche la presenza di altri paesi in via di sviluppo appare comunque importante. Così il volume dei commerci del continente con l’India ha raggiunto nello stesso anno il livello di 100 miliardi. Va anche segnalata la rilevante attività della Turchia.

Dal 2010 in poi circa un terzo dei progetti delle reti elettriche e delle infrastrutture portate avanti in Africa è finanziato e costruito da imprese cinesi, in cambio delle sue risorse naturali e di un appoggio politico dei paesi del continente in sede Onu e altrove.

Ma in Occidente gli attacchi alla presenza cinese sono costanti.

Così si parla da qualche parte di accaparramento da parte della Cina di diversi milioni di ettari di terre coltivabili nel continente. Ora è vero che l’Africa possiede forse la metà delle terre coltivabili del pianeta e che una parte di queste terre tendono ad essere accaparrate da altri paesi. Ma se guardiamo alle cifre, la Cina si classifica solo al quarto posto tra i paesi acquirenti (Piot, 2023, b). Al primo ci sono gli Stati Uniti con circa 1.337.000 ettari (dato aggiornato a ad aprile 2023), ma non se ne parla molto, così come nessuno parla della presenza di decine di installazioni militari Usa nel continente; segue la Svizzera, poi la Gran Bretagna con 1.150 mila, solo quarta e a molta distanza la Cina con 265.000 ettari.

Un’altra accusa rivolta alla Cina in Africa è quella di aver spinto all’indebitamento i paesi del continente per legarli così alla stessa Cina e allo sfruttamento delle loro risorse. Oggi la Cina detiene soltanto il 12% del debito sovrano africano, mentre il 35% è nelle mani dei prestatori privati occidentali che praticano dei tassi di interesse doppi di quelli della Cina. La gran parte poi delle difficoltà finanziarie di diversi paesi del continente derivano semmai dal cattivo uso delle risorse ricevute dalla Cina come dagli altri paesi occidentali e dalle istituzioni internazionali.

Tutto questo naturalmente non significa che il paese asiatico non persegua i suoi interessi e che non abbia anche compiuto degli errori nel tempo nel suo approccio al continente. Ma, complessivamente i paesi africani sembrano valutare in modo positivo la sua presenza, mentre ora gli Stati Uniti e i suoi fedeli scudieri occidentali cercano semmai di copiare il modello di intervento cinese nell’area.

Un continente verso cui bisogna intensificare gli aiuti?

Quando qualche paese annuncia, al momento della pubblicazione del budget pubblico per l’anno successivo, una riduzione del livello di aiuti allo sviluppo in genere si levano da molte parti dei cori di disapprovazione.

In cifre sembra che si tratti comunque di somme molto rilevanti; i fondi dedicati allo sviluppo da parte dei paesi occidentali sono passati dai 49 miliardi di dollari del 1970 agli 84 del 1990, sino ai 152 miliardi del 2019 (Orizzonti Politici, 2023). Per quanto riguarda l’Africa si è passati dai circa 7 miliardi di dollari del 1970 ai circa 67 del 2020.

Un economista africano, Chredu Moghalu (Orizzonti Politici, 2023), afferma che gli aiuti allo sviluppo sarebbero una delle principali cause del sottosviluppo del continente africano. Questi aiuti si basano sulle necessità e volontà politiche dello Stato che aiuta piuttosto che sui bisogni espressi dal paese aiutato. Si può fare poi riferimento all’introduzione negli anni novanta dei cosiddetti Programmi di Aggiustamento Strutturale (PAS), che hanno reso tali aiuti “condizionati” al cosiddetto Washington Consensus, ovvero collegati alle cosiddette riforme strutturali, cioè alla deregolamentazione dell’economia, all’allentamento dei controlli sui movimenti di capitali, alla privatizzazione delle aziende pubbliche, all’eliminazione delle barriere poste al libero mercato. Così tali programmi hanno, tra l’altro, consegnato nelle mani di oligarchi locali e di imprese straniere, a volte in combutta tra di loro, gran parte delle risorse del paese. Per altro verso, essi possono essere associati all’indebolimento dei legami di responsabilità dei politici locali verso il popolo e all’aumento dei livelli di corruzione, portando complessivamente a legami di dipendenza da parte dei singoli paesi verso l’Occidente.

In ogni caso le analisi disponibili tendono a mostrare una scarsa influenza degli aiuti sulla crescita economica del continente.

Forse allora la cosa migliore da fare è quella di rinunciare del tutto alla partita degli aiuti o, forse, di mettere almeno in atto da parte dei paesi del continente dei criteri molto precisi di selezione degli stessi, ciò che dovrebbe anche comportare una loro riduzione sostanziale.

Conclusioni

Attraverso l’analisi di alcuni radicati pregiudizi relativi al continente africano, che ne può richiamare anche molti altri su diversi fronti, abbiamo cercato di dare anche un quadro abbastanza preciso sulla sua situazione e sulle sue prospettive economiche; nonostante i numerosi ostacoli esistenti, si può essere alla fine comunque abbastanza ottimisti al riguardo.

L’analisi svolta dovrebbe far riflettere, considerato il miserevole grado delle conoscenze della realtà del mondo da parte delle opinioni pubbliche occidentali, sulla possibilità che i politici e i gruppi di pressione economici esterni possano manipolare i paesi africani per portare avanti i loro non sempre limpidi fini.

Testi citati nell’articolo

– Caramel L., Le poids persistant de l’extreme pauvreté, Le Monde Afrique, hors-série, èdition 2023, Parigi, 2023.

– Courrier International, De l’Afrique à l’Afrique, Courrier International, hors-série, agosto-settembre 2023.

– Le Monde Afrique, Démographie d’un géant en gestation, Le Monde Afrique, hors-série, édition 2023, Parigi, 2023.

– Magnani A., L’Africa dell’innovazione alza la testa sotto la spinta fintech, Il Sole 24 Ore, 20 aprile 2023.

– Orizzonti Politici, Gli aiuti allo sviluppo sono davvero utili per l’Africa?, www.orizzontipolitici,it, 4 settembre 2023.

– Piot O., Pour en finir enfin avec les idées recues, Le Monde Afrique, hors-série, edition 2023, Parigi, 2023, a.

– Piot O., Des pays dépossedés peu à peu de leurs terres, Le Monde Afrique, hors-série, edition 2023, Parigi, 2023, b.

– Unctad, The economic development in Africa report 2023, Ginevra, 2023.

– Védrine H., Dictionnaire amoureux de la géopolitique, Fayard, Parigi, 2021.

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