Il primo compito è quello di definire che cosa sia umano non da un punto di vista naturalistico di uno scienziato ma da quello filosofico, o se si preferisce dell’uomo comune. Un testo del quarto secolo A.C. definisce bene il nostro problema. Il Protagora di Platone.
Vale la pena riassumere brevemente. Due titani Prometeo ed Epimeteo hanno il compito di distribuire i doni che consentano a tutte le creature di sopravvivere sulla terra. Epimeteo ( non molto saggio), che ha preteso di portare a termine il compito, si accorge che quando arriva all’uomo ha finito i doni. Prometeo cerca di rimediare all’errore rubando il fuoco agli dei e la tecnica ad Atena. Ma questi doni non bastano per far fronte ai doni naturali avuti dalle altre creature. L’uomo per non estinguersi si mette in società con i suoi simili, ma le cose peggiorano: arriva il problema politico, in preda ai propri egoismi gli umani si fanno la guerra fra loro.
Per evitare la loro estinzione, Zeus, visto che già avevano rubato sia il fuoco che la tecnica, manda Mercurio con altri due doni: il rispetto per gli altri e il senso della giustizia. Si arriva al nodo cruciale del discorso, alla domanda di Mercurio se deve distribuire questi doni con il criterio utilizzato per il fuoco e la tecnica per cui un fabbro basta per un villaggio, un medico anche e via di seguito. No, dice Zeus tutti ne abbiano parte altrimenti una città non può esistere e chi non ha rispetto per gli altri né il senso del giusto sia o ucciso o cacciato.
Concludendo per i greci la differenza è molto chiara: l’uomo, quasi sprovvisto di doni naturali rispetto alle altre creature, ha avuto come doni divini, l’intelletto e lo spirito di giustizia che lo porta ad avere deferenza verso la comunità consentendo a questa di sopravvivere.
A distanza di 2500 anni, Platone o Protagora ci hanno dato una bella lezione.