IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Storia e guerra al galoppo

Scartabellato e letto tutto d'un fiato, il volumetto “La pace è finita” solleva tanti, troppi interrogativi. Colpisce l'assenza assoluta di alcuni termini: computer, televisione, informazione, internet. Ma anche spazio, petrolio, DNA, religione. Di quale mondo parla la geopolitica di Lucio Caracciolo?

Singolare quest’ultimo libro di Lucio Caracciolo. Limpidissimo nelle sue premesse. Fin dal titolo, magari un po’ scontato: «La pace è finita». È nel sottotitolo però la chiave del volume. Si inizia riecheggiando – ma per respingerla – l’illusione di Francis Fukuyama, «Così ricomincia la storia», ma poi si approda al più sicuro – almeno per l’autore – dei lidi. A rinverdire i fasti di una geopolitica che più classica non si può: «in Europa». Il vecchio continente, il centro del mondo di un tempo, torna ad essere così la stella polare, l’asse di una ruota con pochi, essenziali raggi. Pochi ma tutti bisognosi di una decodifica storico-politica capace di liberarli del carapace depositato dall’ultimo mezzo secolo di storia.

Tenere i Russi fuori, gli Americani dentro e i Tedeschi sotto

Di lì solo può ripartire hegelianamente – ovviamente nella rilettura fornita da Alexandre Kojève – il cammino del mondo, a patto però di liberarlo delle troppe rivisitazioni o falsificazioni depositate nel tempo. Magari da quella vera e propria «antistoria» presentata come religione, sogno, regolo della vita futura: gli Stati Uniti d’Europa. Ora immaginati da qualche algido, aristocratico mentore: uno su tutti Richard Coudenhove-Kalergi. O magari da democratici antifascisti sepolti a Ventotene. Una “antistoria”, secondo Caracciolo, che non a caso alimenta ancora col verbo europeista la zoppicante parabola dell’Unione Europea, tuttora incapace di farsi soggetto politico, reale attore globale. Specie ora che i venti di guerra la sfidano direttamente.
Ancor più necessario per Caracciolo liberarsi di quell’«Antieuropa» costruita dall’«amico americano» per cullare nelle coltri dell’atlantismo quel particolare «europeismo a stelle e strisce» in cui il Vecchio Continente viene dimidiato ad ancella di giochi planetari. Operazione di disvelamento ancor più fondamentale per cogliere la vera essenza dell’«Antieuropa» americana: il suo tratto decisamente «anti-tedesco», depositato non a caso al cuore dell’Alleanza Atlantica come segreto e disvelato a limpide lettere dal primo segretario generale della Nato, lord Ismay: «tenere i Russi fuori, gli Americani dentro e i Tedeschi sotto».
«Storia e geopolitica», ma ammantate di guerra, non promettono nulla di buono. Meglio prepararsi al peggio, guardando con attenzione naturalmente ai cantoni dove s’addensano «gli incroci diretti o per procura tra le maggiori potenze ai margini della massa eurasiatica»: si chiamino essi Ucraina o Taiwan. Lì stanno i giochi assoluti tra USA, Cina e Russia. Lì si rischia davvero di perder la testa e il bandolo della matassa.
Scartabellato e letto d’un fiato, il volumetto solleva tanti, troppi interrogativi. Ma davvero c’era bisogno della svolta del «24 febbraio 2022» per denudare la magagna ideologica di Francis Fukuyama? Non s’era immediatamente strappato il velo della Pax Americana? Non si era subito rivelato particolarmente stonato quell’inno all’egemonia USA? Dal fatale 1989 ci separano ormai un paio di guerre globali, svariati conflitti, l’inabissarsi dell’impero sovietico, il mutamento di cardini del mondo dall’Atlantico al Pacifico, la fine della «Grande Divergenza», 4 trattati europei, la Brexit ecc. ecc. ecc., e stiamo ancora ad inseguire la «fine della storia»?

Il ritorno degli imperi, ma quali?

Colpisce nel ricco e fantasioso vocabolario sfoggiato dall’autore l’assenza assoluta di alcuni termini: computer, televisione, informazione, internet (figuriamoci facebook o twitter). Ma anche spazio, petrolio, DNA, religione, persino Covid riecheggia solo due volte ma tanto per ricordare una pietra miliare del nostro cammino più recente, non certo come oggetto o lente di analisi.
Qual è il mondo che anima queste pagine? Similmente ad altri autori (ad esempio Maurizio Molinari) che si sono chinati nello stesso torno di tempo a scavare nel tumulto che ci circonda, si evoca il ritorno degli imperi in dissoluzione del sogno «a stelle e strisce». Ma di quali imperi si tratta?
E qui si ha come l’impressione che il bisogno tardivo di sfatare il mito della «fine» nasca in realtà da una difficoltà reale a fare i conti con la storia e con il presente.
Ci si dilunga – e anche con molta efficacia – sulla crisi dell’impero americano, sulla guerra civile che quasi squarcia quella democrazia. Ma è davvero il frutto di una storia recente, tutta rappresa nella stagione populista incarnata da Trump? O è storia ormai antica, che da oltre mezzo secolo – dagli anni Sessanta e dalla battaglia sui diritti civili – scuote gli USA e polarizza e consuma società e sistema politico?
E Russia e Cina come arrivano ai giorni nostri? Come e quanto sono figlie di una battaglia epocale, in cui – per dirla con Yuval Noah Harari – «tra gulag e supermercato» non c’è stata alcuna partita e la battaglia è stata vinta da quest’ultimo ad occhi chiusi? Come e quanto le classi dirigenti – oligarchie? – russe e cinesi sono figlie di quella stagione? Da quali stimmate sono profondamente segnate? Suscitano sogni? E quali in giovani disoccupati o studenti di Cambridge? Ma soprattutto come si avvicinano all’imminente fusione fatale di informatica e biologia?

Taiwan e Ucraina, le micce. Ma di quali incendi?

Il pronostico è l’espulsione dal mercato del lavoro non di milioni ma di miliardi di soggetti. Ogni sistema politico – più o meno democratico o autocratico – è stato rimodellato per gestire un mondo fatto di acciaio, petrolio, schermi televisivi. Straordinario lo stress attivato dall’incrocio con il computer. Ma quale sarà l’effetto del rinculo che subiremo dall’annunciato collasso ecologico? O da una comunicazione che, nell’affratellarci ad un estraneo all’altro capo del mondo, ci rende estranei al fratello, al coniuge assorto, accanto a noi a colazione, nel suo smartphone?
Taiwan e l’Ucraina sono micce. Ma di quali incendi? Sorprendentemente tutti questi temi sono espunti dal volume. E lo stesso sguardo sul passato a volte elabora risposte poco convincenti. È il caso ad esempio di Richard Coudenhove-Kalergi, nippo-asburgico propugnatore della «Pan-Europa», ovvero – agli occhi di Caracciolo – d’ogni ‘anti-storica’ evoluzione continentale. Peccato che il nostro trascuri completamente nella sua ricostruzione il ruolo che il ‘Conte’ riuscì a conquistare, durante la sua permanenza negli USA, in ambienti e personaggi decisivi del nascente ‘Atlantismo’ – quali James William Fulbright, Allen W. Dulles, Dean Acheson – e nella costruzione dell’«American Committee for a Free and United Europe», ovvero nell’ideazione di quel complesso cammino sfociato poi nel Piano Marshall.
Come si vede le linee di demarcazione tra “Anti-Storia” e “Anti-Europa” non sono così nette. Ancor più se si scava nella terza costruzione presa di mira da Caracciolo: quella dell”«Anti-Germania». Tutta costruita «su impulso e sotto vigilanza americana». La memoria va subito al 1953 e al famoso discorso agli studenti di Amburgo tenuto da Thomas Mann, di sicuro con passati trascorsi negli USA ma di salde radici teutoniche. Suo il bivio netto disegnato per il futuro ai tedeschi: scegliere e con coraggio tra un’«Europa tedesca» e una «Germania europea».

Guasto è il mondo

Stiamo sicuramente vivendo adesso una crisi della globalizzazione ereditata dal XX secolo, neoliberale o meno che essa sia. Difficile dire però come ne usciremo. Gli sguardi sul futuro sono sempre incerti. Basti pensare al domani del video, degli schermi. La profezia di Popper sulla televisione come «cattiva maestra» non si è avverata. Oggi avanti a schermi, magari molto più piccoli, a volte minuscoli, la fanno da padroni, come pessimi attori, pollice e scrittura, per miliardi e miliardi di caratteri al secondo. E che dire poi della guerra? L’ha fatta da padrona nel passaggio di secolo, sia pure in forme insolite, senza più i massacri del 900 ma a prezzi altissimi. I Grandi hanno volutamente cercato l’asimmetria ma ha funzionato solo in parte. Le promesse di pace e democrazia hanno fallito e spesso la ritirata o il rinculo sono stati pesantissimi. Kosovo, Iraq e Afghanistan stanno lì con i loro ammonimenti epocali. Ora però in Ucraina si sfodera un’asimmetria inedita: la minaccia dell’Olocausto contro invadenze e impicci esagerati di qualche altro grande. Si aggiunge l’aggettivo ‘tattico’ ma senza molta convinzione e in maniera quasi scaramantica. Vedremo.
Intanto, crisi della globalizzazione, ritorno degli imperi? Non ci riporteranno al Novecento, come ci ha giustamente ammonito Daniel Immerwhar. Questo tragico presente ci sta proiettando in un futuro senza precedenti quanto a pericoli. Influirà anche la geografia in cui da sempre siamo immersi. Ma in forme straordinarie si farà sentire il mondo plasmato dall’uomo: la «geografia naturale», non è immutabile. Le nostre mani l’hanno mutata, riplasmata. Agghindata di opportunità e pericoli.
A ragione, Massimo Luigi Salvadori, nella sua cavalcata nel nuovo secolo, si è rifatto alla lezione di Tony Judt: «guasto è il mondo». Abbiamo attraversato secoli sulle spalle di giganti. Da tempo siamo assordati dagli strepiti di schiere di pigmei rilanciati da TG e aule parlamentari. Cresciuti nel secolo cosiddetto delle «masse» mal ci adattiamo ad un mondo lanciato sempre più in autistica cacofonia.
Di fatto sono sconvolti tutti gli abituali punti cardinali. Costa una fatica incredibile tornare ad orizzontarsi nella matassa di una storia così aggrovigliata.

Riferimenti bibliografici

L. Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, Feltrinelli, Milano 2022.

Y.N. Harari, 21 lezioni per il XXI secolo, Bompiani, Firenze, 2019.

D. Immerwhar, L’impero nascosto. Breve storia dei Grandi Stati Uniti d’America, Einaudi, Torino 2020.

M. Molinari, Il ritorno degli imperi. Come la guerra in Ucraina ha stravolto l’ordine globale, Rizzoli, Milano 2022.

M. L. Salvadori, Da un secolo all’altro. Profilo storico del mondo contemporaneo 1980-2022, Donzelli, Roma 2022.

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