IDEATO E DIRETTO
DA ANTONIO CANTARO
E FEDERICO LOSURDO

IDEATO E DIRETTO DA ANTONIO CANTARO E FEDERICO LOSURDO

Ucraina, tra Nato e Russia

Decifrare la guerra in Ucraina è una sfida non semplice per la sinistra. Le citazioni tratte dal saggio del 2014 di Carpinelli e Tussi (che merita però di essere letto integralmente) sono ancora utili a orientarsi nelle sue molteplici e contraddittorie stratificazioni.

La questione Ucraina rilancia discussioni e analisi mai sopite dalla scomparsa del campo sovietico. Troppe di queste restano, però, all’interno di uno schematismo distrutto dalla storia del 1989-1991: come se quegli avvenimenti non fossero accaduti. Come se ci si dovesse chiedere: cosa difendere e da chi? Quale parte in causa appoggiare? E in nome di che cosa? (…)

Come per un contenzioso da guerra fredda, a sinistra ci si chiede: tu da che parte stai? E pare uno scandalo non dire, con Putin. Come se l’entità statale da lui governata, invero con modalità da deciso controllore, fosse equiparabile alla scomparsa Urss. Quindi, buona parte della sinistra internazionale e nazionale, che definiamo radicale – i frammenti di essa – partecipa alla disputa politica appoggiando un corno della stessa. Agisce, diciamo così, su un crinale dualistico scegliendo decisamente una parte. Logicamente altre porzioni politiche difendono l’altro corno: gli Usa, la Nato e lo Stato centrale ucraino di Kiev. (…)

Tradizione e nazione

La partenza non può che essere nel discorso del presidente russo Vladimir Vladimirovič Putin tenuto al Forum di Valdaj (Oblast‒ di Novgorod) il 19 settembre 2013, quando la crisi ucraina era ancora di là da venire: «Molti Paesi euro-atlantici stanno negando le loro radici, tra cui i valori cristiani che sono alla base della civiltà occidentale. Stanno negando i principi morali e la propria identità: nazionale, culturale, religiosa e perfino sessuale. Mettono in vigore politiche che pongono allo stesso livello delle numerose famiglie tradizionali, le famiglie omosessuali: la fede in Dio equivale ormai alla fede in Satana. Questo eccesso di politicamente corretto ha condotto la volontà di qualche persona a legittimare partiti politici, il cui obiettivo è promuovere la pedofilia. In molti Paesi europei, la gente non ha il coraggio di parlare della propria religione. Le vacanze sono abolite o chiamate diversamente [Putin fa qui riferimento alla soppressione in Occidente delle festività religiose – ndr.]; la loro essenza è nascosta, proprio come il loro fondamento morale. La gente cerca, aggressivamente, di esportare questo modello attraverso il mondo. Sono convinto che questo apra una via diretta alla degradazione e al primitivismo che porteranno ad una profonda crisi demografica e morale. Che cosa testimonia meglio di questa crisi morale se non la perdita della capacità a riprodursi? Oggigiorno, quasi nessuna nazione sviluppata è in grado di riprodursi, anche con l’aiuto dei flussi migratori. Senza i valori presenti nel cristianesimo e nelle altre religioni del mondo, senza gli standard morali che si sono formati per millenni, le popolazioni perderanno inevitabilmente la loro dignità umana. Consideriamo normale e naturale difendere questi valori. Dobbiamo rispettare il diritto di ogni minoranza di essere differente, tuttavia, non bisogna neanche mettere in dubbio il diritto della maggioranza. Allo stesso tempo, vediamo tentativi di rilanciare il modello standardizzato di un mondo unipolare e di confondere le istituzioni di legge internazionale e di sovranità nazionale. Un tale mondo unipolare, standardizzato, non ha bisogno di Stati sovrani, ha bisogno di vassalli. Storicamente, questo rappresenta una negazione dell’identità e della diversità mondiale donataci da Dio. La Russia è d’accordo con quelli che credono che le decisioni debbano essere prese collettivamente e non nel buio al fine di servire gli interessi di alcuni Paesi o gruppi di Paesi. Il nostro progresso non è possibile senza un’autodeterminazione spirituale, culturale e nazionale, altrimenti non riusciremo a opporci alle sfide interne ed esterne, non riusciremo ad avere successo in uno scenario di concorrenza globale».

Si vede bene come questo discorso poco ha a che fare con le pretese di libertà dell’89 francese, con il progetto di modernità che si proponevano i grandi pensatori illuministi nel XVIII secolo, e naturalmente ancora meno con le tematiche di classe, di progresso e di emancipazione dei popoli proprie della tradizione marxista. Due sono i riferimenti politico-culturali e filosofici di Putin: il filosofo cristiano Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev (discepolo di Dostoevskij) e il ”riformatore” Pëtr Arkad’evič Stolypin. Uno di questi lo troviamo citato nel tradizionale messaggio annuale del presidente indirizzato all’Assemblea federale del 12 dicembre 2013. Ecco uno stralcio di questo messaggio:

«Oggi molte nazioni stanno rivedendo i loro valori morali e le norme etiche, erodendo tradizioni etniche e differenze tra popoli e culture. La società è ora tenuta non solo a riconoscere il diritto di ognuno alla libertà di coscienza, alle opinioni politiche ed alla privacy, ma anche di accettare senza discutere l’uguaglianza del bene e del male… concetti opposti tra loro. Questa distruzione dei valori tradizionali sopra riportati non solo porta a conseguenze negative per la società, ma è anche essenzialmente antidemocratica dal momento che viene effettuata sulla base di idee astratte e speculative, in contrasto con la volontà della maggioranza, che non accetta i cambiamenti che stanno accadendo o le proposte di revisione dei valori. Sappiamo che ci sono sempre più persone nel mondo che sostengono la nostra posizione in difesa dei valori tradizionali; alla base del fondamento spirituale e morale della civiltà, in ogni nazione e per migliaia di anni, ci sono i valori delle famiglie tradizionali, della vera vita umana – compresa la vita religiosa – l’esistenza materiale ma anche la spiritualità. Naturalmente questa è una posizione conservatrice. Ma parlando con le parole di Nikolaj Berdjaev, l’ottica del conservatorismo non impedisce il movimento in avanti verso l’alto, ma impedisce il movimento all’indietro verso il basso, nell’oscurità caotica, e un ritorno a uno stato primitivo». (…)

Tradizione e modernità

Putin è attratto da Stolypin perché, insieme a Sergej Witte, era riuscito a realizzare il boom economico in un paese arretrato, senza, tuttavia, rinunciare ai tradizionali metodi dispotici di governo. La politica del primo ministro dello zar Nicola II rappresenta perfettamente il pensiero politico putiniano incardinato su un mix di modernizzazione e tradizione, dove il primo termine rimanda ad un “progressismo sociale” ereditato anche dalla esperienza ideologica del socialismo sovietico (modernizzazione intesa come estensione sul vasto territorio russo dei diritti sociali e dei servizi resi dallo Stato), mentre il secondo, il tradizionalismo, si coniuga bene con un’idea di potenza: Stato westfaliano, economia nazionale solida, efficiente esercito militare, ecc. I valori costanti richiamati da Putin e dal suo partito «Russia Unita” sono deržavnost’ (sovranità) e gosudarstvenničestvo (statalismo), il cui combinato è l’idea che la Russia sia destinata a essere una grande potenza imperniata su uno Stato forte, oppure a non esistere affatto». (…)

Tradizione e modernità. Questi sono i due vettori che accompagnarono la rivoluzione conservatrice di Stolypin tra il 1906 e il 19118 . Da un lato, zarismo e ortodossia, dall’altro, riforma agraria, impulso all’autogoverno locale, attraverso gli “zemstvo”, e sviluppo industriale. Tutto ciò, avrebbe dovuto rendere «la Russia uno Stato moderno ed equilibrato nelle sue parti sociali. Putin si inserisce ora nel solco di quel tentativo di modernizzazione basato appunto sui principi dello Zemstvo e sulle intuizioni di Stolypin». Non v’è dubbio che il richiamo a Berdjaev e Stolypin sia significativo per comprendere l’orizzonte di pensiero del presidente Putin, il quale recentemente ha anche affermato di essere un ammiratore del filosofo Ivan Il’in – sostenitore dell’armata Bianca durante la guerra civile russa, e promotore per il proprio paese di una dittatura nazionalista.

Le colpe degli Usa (e dell’Europa)

Ma per non fare perdere troppo tempo al lettore arriviamo al piatto forte di tutta la questione. Quando gli scissionisti ucraini parlano di antifascismo, quando citano pratiche antifasciste, quando Putin si oppone al grande Satana, agli Usa e alla Nato, in nome di cosa lo fanno?

Chiarito che la Nato sta adottando pratiche irresponsabili nei confronti della Russia, così come anche Silvio Berlusconi ha giudicato, è logico pensare che Putin abbia sicuramente ragione a irritarsi e a giocare pesante quando vede la Nato stessa avvicinarsi pericolosamente alle sue frontiere. D’altro canto, non era stato proprio Zbigniew Brzezinski – il politologo statunitense di origini polacche, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter – a scrivere che senza l’Ucraina la Russia non sarebbe potuta essere un attore geopolitico a livello globale? Nel suo saggio “Il grande scacchiere. L’egemonia americana e i suoi imperativi geopolitici” (titolo originale del saggio: The Grand Chessboard), pubblicato nel 1997, Brezezinski «aveva consigliato agli Usa d’indebolire la Russia, sino a smembrarla del tutto, dando un forte sostegno all’Azerbaijan, Uzbekistan, Tadgikistan e (al di fuori di quest’area) all’Ucraina, poiché questi paesi erano pilastri geopolitici essenziali. Soprattutto l’Ucraina, che avrebbe influito sull’evoluzione futura della Russia. Se Mosca avesse riconquistato il controllo dell’Ucraina con i suoi 51 milioni di abitanti e grandi risorse naturali, oltre che l’accesso al Mar Nero, la Russia automaticamente avrebbe riconquistato le condizioni che ne avrebbero fatto un potente stato imperiale esteso fra Asia ed Europa». Certo, la guerra fredda è finita, i due campi contrapposti (sovietico e occidentale) non esistono più, in teoria. Ma uno è ancora pienamente in piedi: quello occidentale. Avrebbe dovuto perlomeno sciogliersi dopo la scomparsa dell’Urss. In un comizio a Berlino Est nell’aprile del 1986 Gorbačëv si diceva pronto a sciogliere il Patto di Varsavia a condizione che simultaneamente si sciogliesse la Nato. Superando in questo modo e archiviando il periodo della guerra fredda da parte di entrambi i contendenti. Da allora il Patto di Varsavia si è dissolto ma la Nato – pur avendo perso la sua funzione difensiva, per il venir meno dell’avversario – ha continuato ad aumentare le sue basi militari e i suoi interventi armati. Nel periodo 1990-1994, il presidente americano Clinton aveva deciso non solo che la Nato serviva, ma che andava estesa, allargata, senza, tuttavia, considerare le ripercussioni di tale scelta sulla Russia. Forse perché in quel periodo la Russia versava in uno stato pietoso. Ma sarà proprio la decisione incauta di Clinton di allargare la Nato verso la Russia che determinerà – in parte – l’ascesa di Putin al potere. Al resto, ci avrebbe pensato il grande amico di Clinton, l’ex presidente russo Boris El’cin, affidando il paese nelle mani dei suoi stretti consiglieri neo-liberisti, «i vari Gaidar e Chubais)…, che imbevuti degli studi economici – associati al lavoro di Milton Friedman e dei suoi ‘Chicago boys’ – e sostenuti dall’‘Harvard Institute for International Developments Russia project’ (finanziato dall‒amministrazione Clinton) avevano completamente svenduto il paese agli oligarchi russi di prima fila e alle imprese occidentali con la politica dei ‘prestiti in cambio di azioni’…, generando quello che forse è stato il maggiore incremento della povertà della storia russa in un breve lasso di tempo (escludendo i periodi di guerra e le carestie), con una riduzione drastica della speranza di vita ed un aumento dei tassi di mortalità sia infantile che adulta». Alla fine degli anni Novanta, l’obiettivo di limitare drasticamente il ruolo geopolitico della Russia è la ragione fondamentale dell’ingerenza degli Usa negli affari interni dell’Ucraina e del tentativo di portare questo paese nell’orbita della Nato e della UE. Si parla già concretamente di un suo possibile ingresso (insieme con la Georgia) nella Nato. «Il pensiero di Brzezinski si è materializzato a partire dal 1995 con l’avvio del ‘Grande gioco caspico del petrolio’, ossia da quando gli Usa sono prepotentemente entrati nell’area caucasica e transcaucasica, usando in primis come avamposto la Georgia. Per perseguire questo piano gli Usa hanno utilizzato tutti i mezzi possibili. Fu costituita, sempre in funzione antirussa, la PAUCI (Poland-America-Ucraine Cooperation Iniziative, nel 1998) e nel 1999 venne varata la legge americana chiamata “Silk Road Strategy Act”, da cui nacque nel 2001 un’alleanza regionale fra Georgia, Ucraina, Azerbaijan e Moldavia (GUAM). Furono, inoltre, sanciti rapporti di collaborazione tra Georgia e Nato (Partnership for Peace, nel 2004). Tralascio, per ragioni di brevità, la partita della costruzione degli oleogasdotti gestiti da consorzi costituiti da multinazionali americane, israeliane ed europee». In questo piano americano, erano pure rientrati l’accerchiamento e l’asservimento della Russia con «L’espansione della Nato nell’Est europeo (dalla prima espansione del 1999 – Polonia, Cechia, Ungheria – a quelle del marzo 2004 – Estonia, Lettonia e Lituania, che hanno sbarrato la frontiera baltica; Slovacchia, che completava la chiusura dell’Europa centrale; Slovenia e, soprattutto, Bulgaria e Romania, che sigillavano la frontiera occidentale del Mar Nero, estendendone il controllo Nato dalla Georgia al delta del Danubio)». Fino a giungere, tra il 2000e il 2004 alla stagione delle rivoluzioni “colorate”, finanziate dalle “reti americane d’ingerenza democratica” e, da ultimo, a tutte le provocazioni degli Usa, nei confronti della Russia, relativamente alla seconda guerra in Ossezia del Sud (2008) e alle guerre del gas tra Russia e Ucraina (2006 e 2009), facenti parte anche queste della strategia di accerchiamento, contenimento e sconfitta della Russia da parte dell’Occidente. Strategia che è proseguita sino ai giorni nostri con l’invio di ulteriori contingenti militari Nato sul fronte orientale europeo, soprattutto dopo lo scoppio del conflitto ucraino nei primi mesi del 2014, la cui portata – come si sa – va ben oltre le “guerre del gas degli anni 2006 e 2009”. Dalla fine degli anni Novanta, ha luogo – come afferma l’ex ambasciatore Sergio Romano – una rappresentazione dello scenario internazionale all’interno degli Stati Uniti che non ha più alcun rapporto con la realtà. (…)

Sul numero di settembre/ottobre 2014 di Foreign Affairs è uscito un articolo di John J. Mearsheimer dal titolo “Why the Ukraine Crisis Is the West‒s Fault”. Si tratta di un’analisi utile a comprendere la crisi ucraina, che colpisce il lettore, perché, pur essendo la rivista del Council on Foreign Relations (think-tank dell’èlite dell’establishment americano), contraddice appieno le tesi occidentali circolate nei media: «Secondo il giudizio prevalente in Occidente, la crisi Ucraina va imputata pressoché interamente all’aggressione Russa. Il presidente Russo Vladimir Putin, è il ragionamento, ha annesso la Crimea per un desiderio a lungo covato di resuscitare l’impero Sovietico, e potrebbe andare avanti col resto dell’Ucraina, e con altri paesi dell’Est Europa. Da questo punto di vista la destituzione del presidente Ucraino Yanukovich nel febbraio 2014 ha fornito a Putin un mero pretesto per ordinare alle forze Russe di prendersi parte dell’Ucraina. Ma questo resoconto è sbagliato. … Gli Stati Uniti e i loro alleati Europei si dividono la gran parte della responsabilità della crisi. La radice profonda è l’allargamento della NATO, elemento centrale di una strategia più ampia per togliere l’Ucraina dall’orbita della Russia e integrarla nell’Occidente. [Allo stesso tempo – ndr], l’espansione dell’UE a Est e l’apporto decisivo dell’Occidente al movimento pro-democrazia in Ucraina – cominciato con la Rivoluzione Arancione nel 2004 – sono anch’essi elementi critici. Da metà degli anni ‘90 i leader Russi si sono opposti in modo deciso all’allargamento della N“TO e negli anni recenti [dopo che i Paesi baltici sono entrati nell‒UE – ndr] hanno messo in chiaro che non avrebbero assistito senza reagire alla trasformazione del loro vicino strategicamente più importante in un bastione dell’Occidente. Per Putin il rovesciamento illegale del presidente pro-Russia dell’Ucraina democraticamente eletto – che ha giustamente definito un colpo di stato – è stato l’ultima goccia. Ha risposto prendendo la Crimea, una penisola che temeva sarebbe diventata una base navale NATO, e lavorando per destabilizzare l’Ucraina così da dissuaderla dal cercare di unirsi all’Occidente. Le mosse di Putin non avrebbero dovuto essere una sorpresa. Dopo tutto l’Occidente era entrato nel cortile della Russia e aveva minacciato il cuore dei suoi interessi strategici, un punto che Putin ha ripetuto enfaticamente molte volte». (…)

Il lato Oscuro dell’Ucraina

L’Ucraina è un universo complesso, molto più articolato rispetto alla narrazione che circola nel mainstream mediatico. Da un lato, abbiamo un’Europa che sanziona la Russia (sotto forte pressione americana) e, nel mentre, accelera la procedura d’adesione dell’Ucraina nell’Unione Europea. Eppure – ci si chiede – che cosa ha da condividere l’Europa della carta dei diritti con un paese, quello ucraino, il cui governo esprime al suo interno membri appartenenti esplicitamente a organizzazioni di estrema destra? Come possono gli Occidentali nominarli “eroi della libertà”? Uomini che hanno combattuto sulle barricate di Kiev con le bandiere ornate di croci celtiche e dei simboli delle SS Galizien? La giunta di Kiev, ucrainofona, antirussa, antisemita, omofoba, è rappresentata dal partito di estrema destra, “Svoboda” (Libertà) e dall’organizzazione neo-nazista, “Pravyj Sektor” (Settore Destra), in cui sono confluiti diversi gruppi politici. Entrambe queste forze politiche, che sono l’espressione dell’anima nera dell’ultra-nazionalismo ucraino, hanno avuto un ruolo decisivo nelle proteste di piazza e costituiscono le forze emergenti nel panorama sociale e politico ucraino. Ma il fatto, ad esempio, che “Svoboda”, prima del 2004, avesse come simbolo il “dente di lupo” (oggi vietato in Germania), adottato da molte unità militari nella Germania nazista, non può lasciare indifferenti. Queste forze, non marginali, hanno ministri nel nuovo governo ucraino e uomini nei gangli vitali della nuova amministrazione. Attualmente, “Svoboda” può contare su due ministeri (agricoltura e alimentazione; ecologia e risorse naturali) e sul Vice primo ministro (Syč Aleksandr Maksimovič – attivista antiabortista, noto per la sua proposta di divieto assoluto di aborto, persino in caso di stupro). Il ministro della Gioventù e Sport, Dmitrij Bulatov, è un membro di Una-Unso, gruppo appartenente al Settore Destra. Il ministro dell’Istruzione, Oleg Kvit, non affiliato ad alcun partito, ha notoriamente legami con “Svoboda” e con il movimento radicale di destra “Trizub” (Tridente – simbolo dell’orgoglio nazionale, della Trinità Cristiana, e sintesi degli elementi divini del Fuoco e dell’Acqua), ispirato al leader dell’Esercito Insurrezionale Ucraino “UP“, Stepan Bandera. “Trizub”, che richiama lo stemma ucraino, fa parte di “Pravyj Sektor”. Il comandante del battaglione Azov, Andriy Biletsky, che ha ottenuto di recente dal presidente Porosenko la decorazione al valor militare “Ordine per il coraggio”, è capo di due gruppi politici neo-nazisti, il Patriota di Ucraina e l’Assemblea Nazional-Socialista. Biletsky è entrato a fare parte degli organi dirigenti del nuovo partito del premier Arsenij Jacenjuk, il “Fronte Popolare”, che raccoglie, tra i suoi militanti, molti soldati e militari (praticamente, tutti i capi xenofobi e anti-russi dei battaglioni che hanno combattuto contro i separatisti). Questo partito è una strana commistione di spinta euro-atlantista e spirito nazionalista conservatore. Il governo ucraino gode, inoltre, dell’appoggio della Chiesa greco-cattolica (clerical-nazionalista), la quale ha avuto, insieme con la destra radicale, un ruolo importante nelle rivolte di Majdan Nezaležnosti. Il 16 ottobre 2014 è entrata in vigore la legge sulla “lustracija” (lustrazione) approvata dalla Rada uscente. Una legge che tende a colpire tutti coloro che hanno ricoperto cariche pubbliche ai tempi di Janukovič, e che è in netto contrasto con le norme democratiche europee.

Separatisti filo-russi e Destra europea

Dall’altro, pare proprio improbabile abbracciare la causa dei dirigenti dei separatisti filo-russi che inneggiano a valori e ideali oscurantisti. Abbiamo visto le parole di Putin, vediamo ora quelle di altri leader e opinion maker, e cerchiamo di comprendere come in questo ginepraio la politica della destra estrema stia facendo largamente breccia. Ma come – si potrebbe obiettare – i ribelli al potere di Kiev non sono antifascisti? Per un qualche caso strano della storia, la formazione di estrema destra italiana, “Forza Nuova”, aveva, negli anni, allacciato legami con la formazione ucraina di estrema destra “Svoboda”. Poi, dopo un percorso di “smarcamento” dalle originarie posizioni filo-Svoboda, ecco il cambio di scena: l’appoggio ai separatisti filo-russi del Donbass e, di conseguenza, alla Russia di Putin. La partita è grande, e coinvolge in pieno anche il partito politico italiano della Lega-Nord, che non nasconde, ormai da qualche tempo, il sogno di dare vita a una nuova Europa, che veda associata la Russia. «Io sono tra coloro che hanno dato il via a questa alleanza per una nuova Europa con Marine Le Pen, con gli austriaci dell’Fpo e con tanti altri partiti del nord Europa e governi. Come, ad esempio, la collaborazione con Orban del governo ungherese e abbiamo stretto rapporti anche con la “Russia Unita” del partito di Putin». Queste sono le parole espresse dal deputato europeo leghista Lorenzo Fontana. Si potrebbe ribattere che tale voce sia di minoranza. Veniamo allora al punto cruciale della trattazione, e parliamo del filosofo russo Aleksandr Dugin. Questo filosofo – che in Europa ha estimatori tra le destre estreme e i secessionisti – è definito sul sito di Vita, giornale cattolico italiano, il filosofo di Putin. C’è una ricostruzione del suo percorso che appare molto più lineare della nostra difficoltà a capire, cercando a tutti i costi una sorta di omogeneità di sinistra in tutta questa faccenda. E Vita è un luogo della sensibilità cattolica che ben si intende di integralismi. (…)

Conclusioni

Alla luce delle citazioni prodotte, appare del tutto evidente che la scelta tattica tra uno dei due contendenti non apporti nulla di veramente accettabile per una posizione politica e culturale che si voglia definire moderna. Anzi, il tema della modernità è rifiutato dalle parti in lotta. Pare uno scontro tra due concezioni del mondo che fanno a gara fra chi riesce, più dell’altro, ad affondare nella melma del passato, rimpianto di un’era in cui i sacri valori spirituali la facevano da padroni. Quindi, tutte le lezioni, illuministica, liberale e poi socialista, con le molte variabili che si sono nel tempo intrecciate tra loro e con altri apporti spuri, non trovano in questo scontro nessuna possibilità di essere agite. In molte analisi emerge che la Russia propone, in alternativa alle due catastrofi della modernità del 20° secolo – il comunismo rivoluzionario del 1917 e sue conseguenze nei decenni, e il liberismo degli anni Novanta, scomparso il campo comunista – il mero ritorno al passato, lo sviluppo della civiltà russa incentrato su tradizione e ripresa della fede, con un pizzico di contemporaneità: social welfare per tutti e innovazione tecnologica. L’icona della Madonna di Vladimir accanto ai progetti spaziali dell’agenzia Roskosmos. L’accento su una Russia “non arretrata”, che non difende nostalgicamente il passato, perché «paladina dei valori tradizionali nell’ambito dello sviluppo innovativo contemporaneo», confina la modernità entro una dimensione monca dove sia, appunto, possibile, «affermare la validità dei valori eterni» (Putin). Ma altro è il modo di intendere la modernità. Basti cercarne il vero significato in qualsiasi accreditata enciclopedia, per scoprire che il termine richiama genericamente una propensione non solo al rinnovamento socio-tecnico, ma anche a quello nei vari settori della cultura e della morale.

[estratto da un saggio di C. Carpinelli, T. Tussi, disponibile sul sito: https://www.academia.edu/9091763/Nato_Ucraina_Russia]

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