Oggi si trovano quasi tutti d’accordo sull’idea che l’organizzazione del mondo come era uscita dalla seconda guerra mondiale stia ora progressivamente svanendo, ma ci sono idee piuttosto confuse su quali direzioni si stia realmente andando. Peraltro, non manca chi cerca di frenare il movimento.
La fine del vecchio ordine
«L’Occidente non è più egemonico; demografia, economia, tecnologia, arsenale nucleare, tutti i criteri concordano nel fissare una carta della potenza a livello mondiale sempre più frantumata. L’Occidente deve ormai dividere ricchezza, potere militare, narrazione della Storia, capacità di dettare quella che deve essere la norma nei settori più diversi con molti altri attori» (Frachon, 2023).
I valori che le potenze occidentali continuano a considerare come universali non riescono più ad imporsi né militarmente, né politicamente, né culturalmente (Billion, Ventura, 2023). Essi sono sempre più percepiti ormai come «dei codici dell’Occidente, fatti dall’Occidente, per l’Occidente» secondo la formula di un ricercatore di origine australiana, Bobo Lo. Gli Stati Uniti continuano a parlare di quello che essi chiamano un “ordine internazionale basato sulle regole”, soprattutto per giustificare i benefici di una leadership Usa a base mondiale; ma un ordine che esenta gli Stati Uniti e i suoi alleati dal rispettarlo quando gli fa comodo, e questo è accaduto tante volte, appare sempre meno credibile (Ackerman, 2024).
Un’altra cosa che trova quasi tutti d’accordo, collegata alla precedente, è il fatto che in particolare la potenza economica, finanziaria, tecnologica, militare degli Stati Uniti, si stia progressivamente riducendo almeno relativamente al resto del mondo, anche se il dibattito è aperto su quanto forte sia tale riduzione e come si collochi oggi invece in termini di peso effettivo la potenza in ascesa, la Cina, rispetto a quello degli Stati Uniti.
Per altro verso, i paesi del Sud del mondo non sono un blocco monolitico; anche se essi non costituiscono un complesso omogeneo, sono comunque in grado di disporre dei mezzi commerciali, tecnologici, finanziari per opporsi alle decisioni unilaterali delle potenze occidentali (Ominami, 2024). Essi sono in effetti frustrati da un ordine economico internazionale che si oppone troppo spesso ai loro interessi, come sottolinea ad esempio Foreign Affairs.
Un nuovo capitolo dell’avventura umana si sta scrivendo sotto i nostri occhi. Dal punto di vista storico, il 19° secolo ha assistito all’europeizzazione del mondo, il 20° alla sua americanizzazione e nel 21° è ormai la volta dell’asianizzazione (Khanna, 2019), nell’ambito di un più generale spostamento del centro del mondo da Ovest verso Est.
L’hubris dell’occidente e il suo declino
Dopo il collasso dell’URSS, le élites occidentali (Jones, 2024) si sono cullate in un prematuro trionfalismo. Per esse il modello di capitalismo senza regole che era diventato dominante a partire dagli anni Ottanta del Novecento, dopo l’arrivo al potere della Thatcher e di Reagan, poteva ormai essere considerato come la fase finale dell’esperienza umana. Inoltre, gli Stati Uniti e i suoi alleati sembravano godere di un potere senza limiti e si arrogavano il diritto di operare come un servizio di polizia a livello mondiale.
La hubris porterà ben presto ai disastri delle avventure militari in Iraq, Afganistan, Libia e alle operazioni contro la Serbia, tra l’altro con un disprezzo totale per la legge internazionale. Verrà poi la crisi economica del 2008 da cui l’Occidente non si è più veramente ripreso, afferma l’autore.
Più o meno sulla stessa linea tende a collocarsi il noto politologo statunitense Ian Bremmer (Kasonta, 2024). Anch’egli sottolinea come Ucraina e Gaza accelerino il declino politico, economico e morale dell’Occidente. Lo studioso sottolinea come la duplicità occidentale di fronte all’offensiva israeliana nella striscia di Gaza mini la credibilità e il peso internazionale degli occidentali. Bremmer sottolinea a sua volta come l’Ucraina umili l’Occidente, mentre Gaza lo riempia di vergogna.
La “negazione” della realtà multipolare
Su di un altro piano, la reazione statunitense alle manifestazioni del suo declino è quella della negazione. La sua politica appare ancora oggi quella messa a punto in un noto memorandum di Paul Wolfowitz del 1991 (l’autore è stato vicesegretario della Difesa degli Stati Uniti). Gli Stati Uniti devono usare tutti i mezzi a loro disposizione per stabilire un dominio globale; a questo fine essi devono essere pronti ad agire preventivamente per ostacolare l’emersione di qualsiasi potere che possa sfidare tale egemonia e devono mantenere il dominio totale in ogni regione del globo.
Tra l’altro, i rappresentanti degli Stati Uniti mostrano ogni giorno che essi sono assolutamente incapaci di comprendere dei punti di vista differenti dai loro (Macaes, 2024).
In sostanza, come sottolinea Hal Brands (Brands, 2024) nel definire la posizione tradizionale degli Stati Uniti verso il resto del mondo «…dalla fine della seconda guerra mondiale in poi la gran parte dei leader statunitensi e le sue élites hanno respinto la nozione che quello Usa fosse un paese normale che agiva nel modo usuale come gli altri. Gli Stati Uniti assumevano la responsabilità …assegnatagli da Dio… di mantenere un largo ordine globale».
In ogni caso, non vanno sottovalutati i punti di forza del paese; intanto esso si trova ad avere una situazione geografica molto favorevole, nonché una piena autosufficienza alimentare ed energetica, mentre sul fronte finanziario, militare o del cosiddetto soft power, il paese mantiene ancora una rilevante leadership a livello mondiale, anche se essa appare erosa progressivamente dalla Cina. Senza dimenticare la rilevante capacità di innovazione tecnologica del paese.
La sfida economica, commerciale e tecnologica tra Cina e Stati Uniti
Le previsioni fatte per il 2024 dal Fondo Monetario Internazionale vedono crescere ancora il distacco in campo economico tra il paese asiatico e gli Stati Uniti; per la Cina avremmo un pil pari a 35,3 migliaia di miliardi di dollari (e questo senza considerare Hong-Kong e Macao), per gli Stati Uniti di 28,8 e per l’India di 14,6.
In questi ultimi anni stiamo assistendo nel mondo ad uno sviluppo tecnologico senza precedenti. Anche in questo campo studi recenti nostrano come la Cina possa tendere a diventare più importante degli Stati Uniti, sebbene essa presenti ancora diverse debolezze su alcuni settori, quali i chip e il settore della produzione degli aerei civili, l’IA. La lotta si è fatta molto aspra sui computer quantistici, sull’energia nucleare da fusione, sulle biotecnologie. Il paese asiatico predomina invece ad esempio nel campo delle tecnologie ambientali e in quello delle telecomunicazioni.
Ricordiamo ancora, a livello più generale, che ormai i paesi in via di sviluppo, considerando il criterio della parità dei poteri di acquisto, controllano circa il 60% del pil mondiale mentre si prevede che nel 2030 i due terzi delle classi medie saranno collocate in Asia, che è oggi la regione con i più elevati tassi di sviluppo del mondo. I sette paesi del Sud del mondo con il pil più elevato superano ormai quelli del G7.
Gli Stati Uniti non vogliono riconoscere la nuova realtà. Graham Allison, professore ad Harvard, riassume perfettamente la situazione: «Gli americani sono scioccati dall’idea che la Cina non resti al posto che gli era stato a suo tempo assegnato in un ordine internazionale diretto dagli Stati Uniti» (Bulard, 2023).
Così, dopo le misure varate da Trump contro le merci asiatiche, con Biden l’ostilità è fortemente aumentata. Si è sviluppata un’offensiva economica, tecnologica, finanziaria, militare, politica rivolta contro tutte le iniziative e le mosse di Pechino, cercando di coinvolgere in questa “crociata” quanti più paesi possibile in tutti i continenti, su tutte le questioni e in tutti i modi. L’UE appare un diligentissimo allievo degli Stati Uniti su questo come, del resto, su molti altri fronti. Ogni mossa della Cina appare un pretesto per scatenare allarmi, amplificati dai media per la gran parte controllati da Washington.
Una nuova isteria maccartista ha conquistato ormai tutti gli strati della società e della politica Usa, se escludiamo alcune parti del sistema economico che hanno invece interesse a sviluppare i rapporti con il paese asiatico. Va sottolineato come il “complesso militare-industriale”, che domina la politica del paese, abbia interesse a soffiare sul fuoco il più possibile per assicurarsi risorse finanziarie sempre più elevate per il suo settore.
L’offensiva di Washington, che comporta delle novità e delle nuove misure praticamente ogni settimana presumibilmente fallirà, almeno in gran parte, ma essa rischia di danneggiare intanto gravemente la relativa pace del mondo e lo sviluppo dei rapporti economici tra i vari paesi, mentre ostacolerà la soluzione dei grandi problemi cui si trova oggi esposta l’umanità.
Dal libero mercato al protezionismo contro il sud del mondo
Nel dopoguerra le potenze occidentali hanno praticato molto a lungo la dottrina del libero mercato, dell’apertura dei vari paesi al commercio, agli investimenti e ai capitali esteri, della non ingerenza dello Stato in economia («affamare la bestia», ripeteva Ronald Reagan) secondo la dottrina poi nota come il Washington Consensus, imponendo la loro ideologia sostanzialmente a tutti. Ma ora che i paesi del Sud, imparata la lezione, provano a superare il maestro, le vecchie regole non valgono più. Stati Uniti ed Europa si chiudono progressivamente alle merci cinesi e degli altri paesi del Sud con i pretesti più vari, mentre l’intervento di sostegno dello Stato e le politiche industriali diventano fondamentali anche in Occidente.
Il contrasto Usa-Cina, alimentato quasi esclusivamente dai primi, si svolge sullo sfondo di gravi problemi per il mondo, da quelli ambientali, a quelli della povertà, delle diseguaglianze e dell’insicurezza sociale, alla crisi del debito in molti paesi anche sviluppati, alla riduzione dei ritmi di crescita dell’economia mondiale, allo sviluppo di una tecnologia dirompente e fuori controllo, la cui ultima e minacciosa manifestazione è rappresentata dal rapido irrompere sulla scena dell’IA, ai molti conflitti locali, in particolare in Africa e in Asia, alla crescita rilevante nel mondo delle forze nazionaliste e populiste, in presenza anche di organizzazioni internazionali che non riescono più a canalizzare le tensioni e sono sempre più contestate da un numero crescente di Stati, del Sud come del Nord.
Lo storico britannico Adam Tooze ha coniato l’espressione “policrisi” facendo appunto riferimento al fatto che quella odierna è una situazione di grandi difficoltà che toccano insieme le dimensioni economica, sociale, tecnologica, istituzionale, geopolitica, ecologica, con un intreccio complicato e di reciproca influenza tra di esse.
Verso un nuovo ordine multipolare?
Certamente Cina e Stati Uniti saranno i due massimi protagonisti della scena mondiale ancora almeno per un lungo periodo, con la stessa Cina che dovrebbe accrescere ancora nel tempo il suo peso rispetto al rivale. Ma i due paesi non sembrano poter esaurire da soli il quadro del nuovo ordine (o disordine) internazionale in via di formazione.
Può darsi che si stia configurando un secolo cinese, come pensano alcuni, mentre molti altri prevedono invece l’affermazione di un mondo pluralista, in cui, accanto ai due giganti economici, tecnologici, finanziari, politici, militari, si affermeranno anche una serie di potenze intermedie che, cercando di tenere buoni rapporti con i due, tenderanno ad affermare la propria autonomia e a pesare in maniera consistente sui destini del mondo. E in effetti, accanto all’ascesa della Cina, bisogna considerare anche la volontà di emancipazione delle potenze regionali, il secondo fatto che sta sovvertendo l’ordine geostrategico mondiale. Paesi come l’Arabia Saudita, l’Indonesia, l’India, il Brasile, la Turchia, il Sud-Africa mirano a una crescita economica molto forte e scommettono, a tale fine, sulla globalizzazione. In sostanza, tali paesi rifiutano la lettura delle crisi del mondo contemporaneo fatta dagli Stati Uniti e dai loro alleati (Kauffmann, 2023).
Bisogna considerare che gli stessi cinesi non sembrano mirare all’egemonia mondiale, ma sembrano anch’essi auspicare la costruzione di un mondo multipolare. È difficile in ogni caso che, a fronte di un declinante Washington consensus, Pechino cerchi ora di imporre al mondo un Peking consensus, quanto semmai un China price sul fronte degli scambi commerciali….
Qualcuno ha correttamente parlato, a proposito di questi nuovi sviluppi recenti, di “disoccidentalizzazione” del mondo, qualcun altro ha sottolineato come questo tenda ad essere il “secolo dell’Asia”(Khanna, 2019), mentre infine qualcun altro ha invece messo l’accento sul fatto che quella che abbiamo davanti si configuri come l’“età delle potenze intermedie”, sia nel senso di un loro peso economico e politico piuttosto consistente, che in quello di una posizione di mezzo tra le due grandi potenze.
C’è anche chi, ad esempio lo storico Franco Cardini (Cardini, 2023), vede peraltro delinearsi, correttamente secondo noi, un «multipolarismo imperfetto», «confuso, slabbrato, pieno di labilità e di incognite». E in effetti nella transizione da un quadro all’altro quale quello sino ad ora suggerito, potremmo assistere, come sottolineano in molti, ad un lungo periodo di caos senza politiche e paesi guida, come sembrano mostrare gli avvenimenti più recenti sullo scacchiere internazionale.
In ogni caso viviamo in effetti in questi anni un periodo di crisi e di difficoltà su molti fronti, una crisi che è anche di egemonia; si può a questo proposito fare un confronto con le vicende del 1929. Il crack è a suo tempo scoppiato per molti aspetti per la ragione che la Gran Bretagna non ce la faceva più a governare il mondo, si era ormai troppo indebolita, mentre gli Stati Uniti non avevano ancora la forza di prenderne il posto; il passaggio del testimone avverrà soltanto alla fine della seconda guerra mondiale, quando la Gran Bretagna uscirà stremata dal conflitto, mentre invece gli Stati Uniti, con la guerra che aveva risparmiato il loro territorio ed aveva invece spinto in avanti il loro apparato industriale e finanziario, prendono agevolmente la guida del mondo.
Bisogna comunque sottolineare che mentre i processi di disoccidentalizzazione in atto mostrano correttamente la ricomposizione in atto della gerarchia mondiale degli Stati e delle loro alleanze, tale concetto non ci dice invece molto né della natura dei progetti che i paesi nuovi portano avanti, né in quale misura essi tendono a rifiutare di aderire alla logica di accumulazione predatoria delle potenze occidentali (Billion, Ventura, 2023).
In effetti tra i paesi del Sud del mondo non appare all’orizzonte, al di là della contestazione dell’attuale ordine mondiale e delle sue istituzioni, un progetto unitario in positivo né un leader riconosciuto da tutti.
Non siamo alla fine della globalizzazione
Si parla da diversi anni ormai di fine della globalizzazione, di friend-shoring, di near-shoring, di de-coupling, di de-risking e così via.
Comunque, alcuni risultati sul fronte della deglobalizzazione la politica di Biden li ha ottenuti. Si pensi soltanto al settore dei chip, nel quale le esportazioni di prodotti e servizi avanzati da parte dei paesi occidentali verso la Cina sono crollate. Ma il blocco dell’esportazione di chip avanzati, delle macchine per produrli e delle altre tecnologie relative, al di là di alcune loro difficoltà temporanee, sta ottenendo il risultato di spingere con successo i cinesi a moltiplicare gli sforzi per ridurre e poi annullare il loro ritardo tecnologico nel settore.
Ma i legami economici e finanziari tra gli stessi paesi occidentali e la Cina sono ormai così forti che una sostanziale caduta dei rapporti appare molto difficile, anche se non è da escludere del tutto. Il mondo degli affari occidentale è poi per la gran parte ostile ai tentativi di allentamento delle relazioni economiche.
Il punto è che quello cinese è ormai il mercato più importante del mondo per quanto riguarda la gran parte dei settori economici, mentre il rapporto prezzo prestazioni delle sue produzioni e delle sue catene di fornitura sembra quasi sempre imbattibile.
Testi citati
-Ackerman S., Where is America’a “rules-based order” now?, www.nytimes.com, 10 aprile 2024
-Billion D., Ventura C., Désoccidentalisation, repenser l’ordre du monde, Agone, Marsiglia, 2023
-Brands H., An « American first » world, Foreign Affairs, 27 maggio 2024
-Bulard M., Quand le Sud s’affirme, Le Monde diplomatique, ottobre 2023
-Cardini F., La deriva dell’Occidente, Laterza, Bari-Roma, 2023
-Frachon A., Le monde post-1945 s’efface, Le Monde, 6 ottobre 2023
-Jones O., Blood, chaos and decline : these are tre fruits of unbriddled western hubris, www.theguardian.com, 11 aprile 2024
-Khanna P., The future is Asian, Simon & Schuster, New York, 2019
-Kasonta A., This is the way the West ends, www.asiatimes.com, 29 marzo 2024
-Kauffmann S., 2023, L’année du Sud global, Le Monde, 21 dicembre 2023
-Kauffmann S., Le repli des grandes puissances, Le Monde, 2024
-Macaes B., The West versus the Rest, New Statesman, 26 aprile 2024
-Masseguin L., Guerre dans la bande de Gaza…, Libération, 23 aprile 2024
-Ominami C., Le Sud global peut agir comme constructeur d’un ordre international plus équilibré, Le Monde, 24 gennaio 2024